PERIODIZZAZIONE DELLA DIETA DI PARI PASSO CON QUELLA DELL’ALLENAMENTO

In generale, le persone non consumano gli stessi cibi e bevande giorno dopo giorno. Anche se uno schema può essere seguito per tutta la settimana, le persone possono cambiarlo durante i fine settimana. Questo è il motivo per cui i nutrizionisti e io incluso istruiscono gli atleti ad essere il più vario possibile. Inoltre, il costo del cibo, la disponibilità, l’origine etnica e le tradizioni familiari, tra gli altri fattori, possono influenzare i tipi e le quantità di cibo e bevande che le persone consumano durante tutto l’anno, il che aumenta la difficoltà di condurre valutazioni dietetiche accurate. I nutrizionisti sportivi devono tenere conto dei modelli di periodizzazione specifici per ogni sport quando valutano l’assunzione dietetica degli atleti. Devono conoscere gli schemi di allenamento specifici durante le stagioni “in” e “off”, così come durante i periodi pre e post gara, che sono accompagnati da diversi valori nutrizionali e bisogni che dovrebbero essere considerati durante la loro valutazione dietetica.

Come sappiamo nei programmi di allenamento esiste infatti la periodizzazione.

La periodizzazione prevede diversi cicli di allenamento, inclusi cicli di carico, cicli di recupero, cicli di picco e cicli di condizionamento, che vengono implementati in base alle esigenze sportive degli atleti e programmi di gara. I cicli di carico sono considerati la parte costruttiva del programma e si svolgono durante la bassa stagione, nel periodo precompetitivo. I cicli di recupero si concentrano sul fornire all’atleta periodi di riposo attivo che fungono da transizione tra la fase di costruzione e quella competitiva. Ogni ciclo di recupero aiuta l’atleta a essere preparato per i successivi cicli di picco più impegnativi. I cicli di picco sono progettati per promuovere il massimo guadagno di forza, consentendo allo stesso tempo di lavorare sulle capacità motorie specifiche dello sport. I cicli di picco vengono implementati durante o immediatamente prima del periodo competitivo e durano all’incirca la stessa quantità di tempo dei cicli di carico. Dopo la stagione agonistica, gli atleti si impegnano in cicli di condizionamento, che sono periodi di riposo attivo che consentono agli atleti di riposarsi dall’allenamento pesante evitando il decondizionamento.

L’implementazione di questi cicli consente agli allenatori di separare il piano di allenamento annuale in tre periodi principali: preparazione (cicli di carico seguiti da cicli di recupero e cicli di picco), competizione (cicli di picco) e transizione (cicli di condizionamento e cicli di recupero). Seguendo questo schema, un atleta verrà allenato per raggiungere le massime prestazioni durante la stagione agonistica. Poiché ciascuno dei cicli differisce per intensità e tipo di allenamento, anche le richieste nutrizionali per ciascun periodo sono diverse. Per tenere conto dello stato nutrizionale specifico degli atleti durante tutto l’anno, le valutazioni dietetiche dovrebbero essere condotte in ciascuno dei diversi periodi di allenamento/gara.

Un’altra considerazione da notare con gli atleti è che diversi sport richiedono che gli atleti competano tutto l’anno, mentre altri richiedono che competano intensamente solo durante una stagione. I fabbisogni energetici e nutrizionali di questi due gruppi di atleti sarebbero diversi durante i periodi di allenamento, pre-gara e post-gara e richiederebbero ai nutrizionisti sportivi di tenere conto di queste disparità durante le valutazioni dietetiche. La stagionalita’ dello sport richiede anche valutazioni differenti importanti, giocare o allenarsi d’inverno e’ diverso che allenarsi d’estate e al caldo.

È molto importante che il nutrizionista sportivo, così come ogni altro membro del team di professionisti della salute dell’atleta, abbia familiarità con le esigenze fisiche e gli orari dei diversi sport.

Oltre alla periodizzazione dell’allenamento fisico, la periodizzazione dietetica deve essere presa in considerazione quando si eseguono valutazioni dietetiche. La periodizzazione dietetica si riferisce alla manipolazione dei nutrienti energetici ottenuti dalla dieta che sono correlati ai cambiamenti che l’atleta subisce durante i diversi periodi di allenamento. Queste manipolazioni dietetiche hanno un impatto sull’utilizzo di carburante durante l’esercizio, specifico per il periodo di allenamento e lo sport praticato dall’atleta. Una di queste manipolazioni utilizzata dai nutrizionisti sportivi per aumentare l’immagazzinamento di carburante muscolare dell’atleta e la successiva fornitura, specialmente durante eventi che durano più di 90 minuti , è il carico di carboidrati. Prendiamo, ad esempio, un fondista, che durante il ciclo di picco può essere consigliato da un nutrizionista sportivo di impegnarsi in un carico di carboidrati al fine di aumentare le riserve di glicogeno muscolare e migliorare le prestazioni durante la gara. Questa periodizzazione dietetica comporterebbe un aumento del consumo di carboidrati da parte dell’atleta rispetto alla bassa stagione o ad altri periodi di allenamento, in cui l’elevato consumo di carboidrati potrebbe non essere enfatizzato.

Durante il processo di valutazione della dieta dovrebbero essere prese in considerazione sia le periodicità di allenamento che quelle dietetiche utilizzate dagli atleti. Dal momento che queste manipolazioni sono in corso, i nutrizionisti sportivi dovrebbero tentare di raccogliere dati sull’assunzione dietetica dalle diverse fasi di periodizzazione dell’esercizio e della dieta. Di conseguenza, è possibile identificare schemi alimentari specifici per ciascuna delle fasi di periodizzazione per determinare se l’atleta è in grado di seguire le raccomandazioni dietetiche e per valutare se queste raccomandazioni sono efficaci nel mantenere l’atleta in salute, nonché nell’aiutarlo a soddisfare il fabbisogni energetici e nutritivi dell’allenamento e della competizione. Non essere a conoscenza del programma dell’atleta per quanto riguarda la periodizzazione potrebbe comportare un’errata interpretazione della valutazione dietetica. Seguendo l’esempio del maratoneta, non sapendo che questo atleta è nel ciclo di picco dell’allenamento, seguire una dieta a base di carboidrati in preparazione per una gara imminente potrebbe portare all’errata interpretazione che l’atleta stia consumando quantità inadeguate di grassi e proteine.

Al fine di garantire una corretta pianificazione della valutazione dietetica e la raccolta dei dati sull’assunzione dietetica in ogni ciclo di periodizzazione, i nutrizionisti sportivi devono avere familiarità con i tempi della periodizzazione dell’allenamento e i calendari dei diversi sport , nonché con qualsiasi specifica periodizzazione dietetica associati ai diversi cicli di allenamento o periodi di gara.

VITAMINA D ANZIANI E PERFORMANCE MUSCOLARE

Uno studio cerca di fare luce sul rapporto tra integrazione di vitamina D e performance muscolare

Negli studi osservazionali, basse concentrazioni di 25-idrossivitamina D (25[OH]D) (<30 ng/mL [<50 nmol/L]) sono state associate a debolezza muscolare e prestazioni fisiche compromesse. Tuttavia, l’effetto dell’integrazione di vitamina D sui cambiamenti nella forza muscolare e nelle prestazioni fisiche in studi controllati randomizzati è stato misto.

In questo studio controllato randomizzato in doppio cieco, 136 adulti a bassa attivita’ [punteggi SPPB (Short Physical Performance Battery) ≤10] di età compresa tra 65 e 89 anni con concentrazioni di 25(OH)D da 18 a <30 ng/mL sono stati assegnati in modo casuale a 2000 UI/die di vitamina D3 o placebo per 12 mesi. La potenza delle gambe degli arti inferiori (risultato primario), la forza della gamba e della presa, SPPB, timed up and go (TUG), l’oscillazione posturale e la velocità dell’andatura e i parametri spaziotemporali (risultati secondari) sono stati valutati al basale, 4 e 12 mesi. Un sottogruppo (n = 37) è stato sottoposto anche a biopsia muscolare al basale e 4 mesi e sono state valutate la composizione delle fibre muscolari e le proprietà contrattili.

L’età media ± DS dei partecipanti e i punteggi SPPB al basale erano rispettivamente di 73,4 ± 6,3 anni e 7,8 ± 1,8. Le concentrazioni medie ± SD 25(OH)D al basale e a 12 mesi erano 19,4 ± 4,2 ng/mL e 28,6 ± 6,7 ng/mL nel gruppo vitamina D e 19,9 ± 4,9 ng/mL e 20,2 ± 5,0 ng/mL nel gruppo placebo gruppo per una differenza media ± SE di 9,1 ± 1,1 ng/mL (P <0,0001).

Tuttavia, non ci sono state differenze nella variazione della potenza della gamba, della forza della gamba o della presa, del punteggio SPPB, del TUG, dell’oscillazione posturale o della velocità dell’andatura e dei parametri spaziotemporali per gruppo di intervento oltre i 12 mesi o la composizione delle fibre muscolari e le proprietà contrattili oltre i 4 mesi.

Negli anziani con concentrazioni di 25(OH)D da 18 a <30 ng/mL, la randomizzazione a 2000 UI/die di vitamina D3 non ha comportato miglioramenti nella potenza delle gambe, nella forza o nelle prestazioni fisiche o nella composizione delle fibre muscolari e nella capacità contrattile proprietà.

Cio ovviamente non toglie nulla alla importanza della integrazione di vitamina D se carente, ma esagerare sulle proprieta’ di un integratore sulle funzionalita’ muscolari puó accadere spesso. Ulteriori studi sono necessari, ma ricordiamoci che integrare e’ importante se ci sono carenze e se la dieta è carente

dr. marco zanetti

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0002916523473509

POPOLO DI OBESI, MA CON TABTE CARENZE, IL RUOLO DEL NUTRIZIONISTA

Il 90 percento della popolazione soffre di almeno una carenza di minerali o vitamine. L’intero paese è sovralimentato e denutrito purtroppo. Si mangiano sempre più calorie, ma sempre più di bassa qualità e poveri in nutrienti sani

Perché?

La dieta è cambiata di molto, non si mangia più in famiglia, si mangiano alimenti pronti e confezionati, si mangiano più fastfood di prima e poche verdure e frutta. Si preferiscono alimenti calorici che costano poco a alimenti sani che costano un po’ di più. La diminuzione del potere di acquisto delle famiglie incide sulle scelte da farsi.

I cibi freschi e ricchi di sostanze nutritive sono spesso considerati onerosi in termini di tempo e finanze, ritenendo queste scelte alimentari un lusso piuttosto che lo standard a tavola.

Numerosi studi, risalenti al 1936, hanno scoperto che il suolo dei terreni agricoli in tutto il mondo è carente di micronutrienti, riducendone il contenuto nei prodotti. Per dimostrare ulteriormente questa teoria, nel 2003, i ricercatori canadesi hanno confrontato i dati dell’attuale contenuto di nutrienti vegetali con i dati di 50 anni fa. Le loro scoperte hanno mostrato che il contenuto di minerali di cavoli, lattuga, spinaci e pomodori si era ridotto da 400 milligrammi a meno di 50 milligrammi nel corso del ventesimo secolo. E questo è solo un assaggio di ciò che hanno trovato. Mangiare un frutto senza vitamina C è abbastanza comune

Il fatto è che, anche se il cibo spazzatura trasformato e il fast food non facessero parte dell’approvvigionamento alimentare, le carenze sarebbero ancora dilaganti, poiché la qualità del suolo sta diminuendo rapidamente e riduce il valore nutritivo dei prodotti.

I numeri non mentono. Secondo il CDC e il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA):

• 9 americani su 10 sono carenti di potassio

• 7 su 10 sono carenti di calcio

• 8 su 10 sono carenti di vitamina E

• Il 50% degli americani è carente di vitamina A, vitamina C e magnesio

• Più del 50% della popolazione generale è carente di vitamina D, indipendentemente dall’età

• Il 90% degli americani di colore è carente di vitamina D

• Circa il 70% degli americani anziani è carente di vitamina D

Da noi non siamo così distanti soprattutto alle basse latitudini

 

Qual è la soluzione?

Per decenni, i ricercatori e le principali organizzazioni mediche hanno combattuto sulla necessità di integratori nella dieta. Anche l’American Medical Association, che ha sempre preso una posizione contro gli integratori, ha scritto in una dichiarazione: “Il Journal of American Medical Association oggi consiglia a tutti gli adulti di assumere almeno una pillola multivitaminica al giorno”.

Gli integratori di qualità possono aiutare a ripristinare e mantenere i livelli di micronutrienti per una salute ottimale. Che tu sia un atleta di alto livello o una persona in cerca di benessere, la tua dieta deve essere supportata per raggiungere i tuoi obiettivi salutari.

Ovvio se segui una dieta bilanciata e ben costruita e varia sarai meno soggetto a carenze, ma ciò e’ pur sempre possibile e facendo le analisi opportune potresti rendertene conto

 

Quali integratori ?

Ci sono molti nutrienti che lavorano insieme per consentire al corpo di funzionare in modo ottimale. Quindi, come fai a sapere di quali hai bisogno per essere sano e in salute?

I bisogni nutrizionali sono personali quanto i tuoi gusti in fatto di musica e abbigliamento. Ecco perché essere seguiti da un nutrizionista è la scelta migliore che la popolazione dovrebbe fare, soprattutto ora che le carenze sono veramente alla portata di tutti. Come un tempo per scarsa alimentazione oggi per iperalimentazione, ma di alimenti sbagliati e spesso poveri.

Testare i tuoi livelli di nutrienti per la carenza di vitamine e mantenere il monitoraggio, man mano che le tue esigenze cambiano nel corso della tua vita sarebbe importante.

Inoltre se alcuni nutrienti della dieta sono carenti il nutrizionista potrebbe suggerire quali integratori assumere

Naturalmente, ci sono alcuni nutrienti, come la vitamina D e K2, di cui la maggior parte è carente e assumerne abbastanza con la dieta è quasi impossibile. Inizia a riparare le tue carenze nutrizionali, questi sono i migliori integratori che avvantaggiano la maggior parte delle persone:

Multivitaminici. Studi ampi e approfonditi hanno scoperto che un multivitaminico di qualità è l’integratore migliore che un individuo possa assumere per sostenere la propria salute a lungo termine. In una valutazione di quasi 3 milioni di persone, meno dell’1% ha raggiunto quantità adeguate di vitamine essenziali solo con la dieta. Le carenze di nutrienti di base possono lasciare il corpo suscettibile a malattie cardiache, cancro al seno e al colon e molte altre condizioni avverse. La scelta del multivitaminico giusto è spesso difficile, il che rende essenziali i test di carenza vitaminica e una consultazione con un nutrizionista esperto.

Vitamina D. La vitamina D è la vitamina che funziona come un ormone all’interno del corpo, il che significa che, proprio come gli altri tuoi ormoni, ha molti ruoli davvero importanti da svolgere per mantenerti in salute. Sebbene i livelli di vitamina D possano essere migliorati con l’esposizione giornaliera al sole, così come il consumo di olio di fegato di merluzzo, latticini fortificati, ostriche e uova, l’integrazione è ancora necessaria. Livelli adeguati di vitamina D sono legati all’umore, al metabolismo e alla salute delle ossa, solo per citarne alcuni. Gli studi hanno dimostrato che l’integrazione di 800 UI al giorno può ridurre il rischio di malattie associate a una cattiva salute delle ossa.

Vitamina K2. La vitamina K2 sta rapidamente emergendo come un micronutriente superiore per raggiungere una salute ottimale. Per anni, la vitamina K2 è stata ben nota per il suo ruolo nei fattori della coagulazione del sangue, ma gli scienziati ora capiscono che ha più benefici, tra cui la protezione contro le malattie cardiache, la formazione di ossa forti e la promozione della salute della pelle, della funzione cerebrale, della crescita e dello sviluppo,  oltre a contribuire a prevenire alcune forme di cancro. Proprio come la vitamina D, la K2 può essere ricavata dalla dieta attraverso carne, come agnello, fegato e tacchino. Tuttavia, l’integrazione garantisce l’assorbimento e un apporto sufficiente.

Non lasciare la tua salute al caso verrebbe il caso di dire

INTEGRATORI ALIMENTARI FACCIAMO CHIAREZZA

Un integratore alimentare viene definito come un principio biologicamente attivo che aiuta a reintegrare nell’organismo sostanze perse o carenti e/o favorire una funzione fisiologica e/o evitare una funzione patologica.

Lo studio e la ricerca su un principio attivo come integratore, può mettere in evidenza le proprietà funzionali dell’alimento che naturalmente lo contiene, così come lo studio sul principi attivo di un alimento funzionale può identificarne le proprietà nutraceutiche.

La nutraceutica nasce dalla fusione dei termini nutrizione e farmaceutica nel 1989 grazie agli studi di Stephen De Felice che fa convergere in questa branca gli aspetti comuni della nutrizione e della farmacologia.

La nutraceutica è da considerare una branca derivata dalla congiunzione degli studi sulle proprietà farmacologiche e nutrizionali degli alimenti ed in quanto tale si avvale principalmente degli studi e delle ricerche sui principi attivi degli alimenti che hanno particolari attività biologiche in ambito nutrizionale e biochimico-farmacologico.

Il termine “Nutraceutico” non è definito attualmente dalla legislazione comunitaria. Tali prodotti, anche se posseggono proprietà biologiche profilattiche e terapeutiche, dimostrate da studi scientifici e ricerche cliniche, in termini legislativi devono essere definiti “Integratori Alimentari”. In ambito medico, e nutrizionale si parla di nutraceutici per indicare composti presenti negli alimenti che dimostrano una attività biologica in grado di promuovere miglioramenti dello stato di salute attraverso un azione preventiva e/o curativa al di là delle proprietà nutrizionali.

I marcatori per i nutraceutici che devono essere testati e valutati sono:

Marcatori per stabilire la risposta biologica o l’obiettivo funzionale o il cambiamento del concentrazione di un metabolita, di una specifica proteina o enzima o ormone nel siero.

Miglioramenti dello stato di salute o della riduzione del rischio di malattia.

Variazioni individuali o del polimorfismo genetico che agiscono sul metabolismo o l’effetto del componente testato.

Gli alimenti che per loro natura, senza alcuna elaborazione, sono stati classificati come “alimenti funzionali”, devono le loro proprietà a principi attivi ed a sostanze le cui potenzialità biologiche in molti casi sono state isolate, studiate e quindi identificate come “nutraceutici”.

Spesso si fa confusione anche nella letteratura scientifica quando si parla dei nutraceutici come alimenti funzionali e viceversa; i nutraceutici sono solo la componente attiva di un dato cibo e quindi in realtà sono integratori alimentari o usando un termine moderno nutraceutici. Questa confusione nasce probabilmente anche dal fatto che i nutraceutici non sono riconosciuti dalla normativa europea; la legislazione comunitaria parla esclusivamente di Functional Food ( alimenti funzionali ), mentre le sostanze ed i principi attivi secondo le norme vigenti sono classificati come integratori alimentari (legge 2002/83/CE) o come farmaci se autorizzati ed approvati (legge 2004/24/CE).

Il Decreto ministeriale 9 luglio 2012 sulla “Disciplina dell’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali” ed il Decreto 27 marzo 2014 disciplinano l’utilizzo delle piante per l’estrazione di principi attivi da utilizzare come integratori.

A tale proposito vengono riportati due allegati:

Nell’allegato 1 si riporta la lista italiana con le indicazioni di riferimento per gli effetti fisiologici definite dalle linee guida ministeriali, che non costituiscono parte integrante del DM 9 luglio 2012

Nell’allegato 1 bis si include la lista BELFRIT, una lista comune nata dal progetto BELFRIT tra Belgio, Francia e Italia, di sostanze e preparati vegetali (“botanicals”) impiegabili negli integratori alimentari.

Le linee guida ministeriali del Decreto del 9 luglio 2012 e del 27 marzo 2014 sugli integratori alimentari riportano

Indicazioni per i livelli massimi di apporto di vitamine e minerali, disposizioni su probiotici e prebiotici, aminoacidi, acidi grassi, fibra alimentare, disposizioni sull’impiego di preparati vegetali (anche definiti botanicals), disposizioni per sostanze diverse da vitamine, minerali e botanicals.  I nutraceutici vengono proposti ed utilizzati come integratori, o anche addizionati, o integrati negli alimenti per formulare ulteriormente alimenti arricchiti, innovativi e/o funzionali. Sono stati fatti studi su alimenti funzionali e nutraceutici in ambito oncologico così come studi su malattie degenerative, metaboliche, vascolari, autoimmunitarie ed in generale sulle malattie croniche e l’invecchiamento. Un gran numero di componenti vegetali ha mostrato potenziali effetti chemio- protettivi in quanto antiossidanti quindi in grado di ridurre il danno ossidativo del DNA, la mutagenesi, la carcinogenesi e la proliferazione cellulare indotta dall’ossidazione e dall’infiammazione.

Nel Decreto del 27 marzo 2014 per la prima volta vengono riconosciute ai preparati vegetali proprietà ed effetti sulla salute, ma non proprietà terapeutiche.

Le proprietà terapeutiche vengono riconosciute esclusivamente ai farmaci: un farmaco si definisce tale in quanto composto da sostanze note, di cui si conoscono la concentrazione e gli effetti, anche se di origine vegetale; mentre quando si utilizzano preparati di origine vegetale, che si ottengono per estrazione o concentrazione, si parla di fitoterapici, in quanto generalmente contengono altri componenti oltre il principio attivo, che spesso si trova coniugato con altre sostanze sotto forma di fitocomplessi.

Altri termini da inquadrare sono quello di “alicamento” e di “farmalimento”:  Sono definiti “alicamenti” gli alimenti raccolti alla giusta maturazione in modo tale da essere digeriti e integrati con la massima assimilazione dei principi nutritivi naturalmente presenti, la definizione deriva dalla crasi delle parole alimento e medicamento;

Il termine “farmalimento” viene utilizzato come sinonimo di alimento funzionale.

Al giorno d’oggi sono stati identificati circa 30.000 fitocomponenti vegetali, di cui circa 5.000-10.000 sono presenti negli alimenti vegetali di comune consumo, si è calcolato che assumendo 5 porzioni al giorno di frutta e verdura, si garantisce l’apporto di circa 1.5g/die di nutraceutici.  I più importanti principi attivi che rientrano negli alimenti funzionali, negli alimenti arricchiti o negli integratori fanno parte delle seguenti categorie di cui conosciamo bene gli effetti sul corpo: Carotenoidi, Isotiocianati, Fitoestrogeni, Fibre alimentari, Probiotici e Prebiotici, Acidi grassi omega tre

Il supporto del nutrizionista per la performance del calciatore / calciatrice

I

Dr. Natale Gentile

Consulente del settore di nutrizione dell’Area di Performance della FIGC. Responsabile della nutrizione e della supplementazione della Nazionale A femminile di calcio.

Il supporto del nutrizionista per la prestazione fisica del calciatore/calciatrice si concentra essenzialmente  su tre aspetti fondamentali:

1)valutare la composizione corporea;

2)fornire adeguati introiti calorici e dei macronutrienti per sostenere la prestazione fisica favorendo il recupero energetico e muscolare post partita e post allenamento utilizzando il corretto timing d’assunzione dei macronutrienti;

3)implementare, interagendo ed integrandosi con altre professionalità, strategie volte alla prevenzione degli infortuni o volte ad accelerare il recupero dagli infortuni sia nella fase iniziale di immobilizzazione sia in quella successiva di riabilitazione.

Come metodica per la valutazione della composizione corporea facilmente realizzabile e non invasiva si predilige la plicometria, a dispetto di metodiche anche gold standard ma di difficile utilizzo e trasporto.

Il plicometro viene utilizzato per la valutare lo spessore del pannicolo adiposo in varie zone del corpo (punti di repere); tali valori possono essere poi utilizzati in equazioni specifiche sia per sport sia per genere per ottenere una stima della percentuale di massa grassa o più correttamente viene presa in considerazione la sommatoria di pliche; viene di solito utilizzata la sommatoria cioè la somma algebrica di sette pliche cutanee (nello specifico quella addominale, sovrailiaca, coscia mediana, polpaccio, sottoscapolare, tricipitale e bicipitale) che deve essere inferiore ad un valore di cutoff diverso per calciatori e calciatrici.

Il calciatore <<moderno>>  copre una maggiore distanza percorsa ad alta intensità rispetto al passato a parità rispetto sempre al passato di distanza percorsa totale nel corso di un match; tale osservazione determina tutta una serie di conseguenze in termini d’aumento dell’insulto infiammatorio e dello stress ossidativo  per le maggiori sollecitazioni eccentriche a cui è sottoposto l’ atleta; inoltre va considerato il sempre maggiore affollamento del calendario agonistico con tanti impegni agonistici ravvicinati.

Pertanto è fondamentale fornire adeguati introiti calorici e dei macronutrienti, favorire il recupero nel post partita che spesso rappresenta già l’inizio dell’approccio all’evento agonistico successivo.

Considerare gli aspetti degli apporti calorici, dello stato di idratazione, delle deficienze dei micronutrienti, dei livelli di vitamina D e dello stress ossidativo è fondamentale nell’ottica di un approccio integrato a 360° che metta al centro l’atleta allo scopo di ridurre il rischio d’infortunio muscolare.

É fortemente consigliato di evitare di ridurre l’apporto calorico al di sotto di determinati limiti; Loucks et al. hanno dimostrato che introiti calorici ridotti accentuano la fatica, hanno effetto immunosoppressivo e predispongono quindi agli infortuni; inoltre la restrizione calorica ha come effetto secondario anche quello di provocare deficienze di micronutrienti, alcune delle quali, come accade per il ferro, il calcio e la vitamina D sono molto frequenti  prevalentemente nelle calciatrici.

E’ essenziale, altresì, garantire uno stato di corretta idratazione; infatti esiste una correlazione diretta tra riduzione di peso per disidratazione e scadimento della prestazione fisica oltre che un aumento del rischio d’infortunio muscolare.

L’alimentazione occidentale contemporanea è caratterizzata da un rapporto omega6/omega3 fortemente sbilanciato verso i primi con una conseguente maggiore produzione di molecole ad effetto proinfiammatorio. Pertanto ancora di più  risulta necessario negli atleti riequilibrare  questo rapporto rivedendo le abitudini alimentari ed evitando di abusare di alimenti ricchi di omega 6 e favorendo una maggiore introduzione di omega 3 sia attraverso la dieta sia attraverso la supplementazione.

Una integrazione con antiossidanti atti a ridurre gli effetti del <<muscle damage>> indotto dall’allenamento è da consigliare solo in soggetti con una provata deficienza di un micronutriente, in soggetti in restrizione calorica per un considerevole intervallo temporale, in soggetti che per gusto o convinzione hanno limitato o del tutto escluso alimenti fornitori di molecole con effetto antiossidante. Negli altri casi è preferibile agire andando a rivedere le abitudini alimentari con un consumo di dosi adeguate di frutta e verdura.

La dieta dello sportivo intollerante al lattosio

DOTTORESSA CRISTIANA LO NIGRO

Una corretta alimentazione influisce in modo significativo sullo stato psico-fisico dell’individuo e sulla performance nella pratica sportiva.  

Se ci si accorge, però, che nonostante si segua una dieta corretta e calibrata il rendimento è al di sotto delle aspettative e si fatica a recuperare l’energia, è opportuno chiedersi se la causa non sia da ricercare in una possibile intolleranza alimentare. Eventuali alimenti mal tollerati dall’organismo a lungo andare, possono creare, infatti, stati infiammatori generalizzati e disturbi di vario genere, come disturbi gastrici, diarrea, stipsi, asma, problemi vascolari, vomito, cefalea, astenia e attacchi di panico.

Una delle intolleranze difficile da individuare è quella al lattosio, diffusa più di quanto si pensi, in quanto le sue manifestazioni non sono immediate e vengono attribuite spesso a problemi di natura gastrointestinale.

L’intolleranza al lattosio è l’incapacità di digerire lo zucchero del latte, dovuta ad una carenza dell’enzima deputato alla sua idrolisi, la lattasi, che scompone il lattosio nei due composti più semplici, glucosio e galattosio.

I sintomi più comuni legati all’intolleranza al lattosio sono meteorismo, gonfiore, dolori addominali, diarrea, nausea, insonnia, ma soprattutto stanchezza, difficoltà a concentrarsi e nervosismo, sicuri nemici di chi cerca di migliorare le proprie performance sportive.
I sintomi compaiono tra i 30 minuti e le 2 ore successive al pasto.

Esistono vari metodi per scoprire l’intolleranza al lattosio, tra cui il test genetico, un test non invasivo e di semplice esecuzione che prevede l’analisi del DNA prelevato tramite tampone buccale e che si può richiedere in qualsiasi studio medico specializzato in nutrizione.

Il concetto di medicina «personalizzata» va esteso anche all’area della nutrizione dedicata agli sportivi, con lo scopo di migliorare la performance attraverso l’adozione di un corretto stile alimentare. La variabilità genetica individuale determina, infatti, il modo in cui i nutrienti vengono metabolizzati, accumulati e infine escreti, per cui partendo dalle differenze genetiche individuali, è possibile individuare una «nutrizione personalizzata». che prenda in considerazione la tipologia di sport praticato, la frequenza degli allenamenti e le intolleranze.

Chi pratica sport sia a livello amatoriale sia, a maggior ragione, agonistico sa quanto il latte sia un alimento prezioso che permette un rapido recupero delle riserve energetiche, perché svolge una funzione reidratante e contiene nutrienti che hanno un ruolo fondamentale nel metabolismo muscolare e nella sintesi delle proteine.

È possibile, tuttavia, continuare ad assumere latte e latticini ed evitare la comparsa dei disturbi che possono interferire con la resa sportiva. Come? Sia assumendo integratori di lattasi che contengono l’enzima mancante che, assunti poco prima dell’alimento contenente lattosio, permettono di digerirlo, sia ricorrendo al latte privo di lattosio, sia sostituendo il latte vaccino con bevande a base di soia ma anche di riso, mandorle, avena, cocco, anche se dal punto di vista nutrizionale non sono esattamente equivalenti.

                                                                                           Cristiana Lo Nigro

NOVITA’ DAL MONDO DELLA CARNE COLTIVATA

redazione

Non è passato molto tempo da quando l’idea che la carne nei nostri piatti provenisse da vasti bioreattori in acciaio inossidabile, piuttosto che da animali d’allevamento, sembrava fantascienza. L’idea ha subito numerosi rebranding sin dalla sua prima definizione che ha innescato visioni sgradevoli di spam high-tech.

La “carne da laboratorio” è arrivata dopo, poiché gli scienziati hanno perfezionato la ricetta in piccoli bicchieri nei laboratori. Poi è arrivata la “carne coltivata” dal suono più appetitoso, poiché gli investimenti da parte di individui di alto profilo sono aumentati vertiginosamente e i produttori hanno posizionato questi prodotti come se fossero stati preparati, proprio come la birra.

In qualunque modo si scelga di chiamarla, con il futuro della sicurezza alimentare globale in questione e la carne di allevamento una delle principali colpevoli del crollo climatico, la carne senza macellazione sta iniziando ad assomigliare sempre di più al futuro del cibo.

Piuttosto che far parte di un animale che vive, respira, mangia e beve, la carne coltivata viene prodotta in provetta o in un bioreattore di acciaio inossidabile. Il processo è preso in prestito dalla ricerca sulla medicina rigenerativa, e infatti il ​​Prof. Mark Post dell’Università di Maastricht, che ha coltivato il primo hamburger al mondo nel 2013, stava precedentemente lavorando alla riparazione del tessuto cardiaco umano.

Le cellule vengono acquisite da un animale mediante biopsia innocua, quindi poste in un recipiente caldo e sterile con una soluzione chiamata mezzo di crescita, contenente sostanze nutritive tra cui sali, proteine ​​e carboidrati. Ogni 24 ore circa, le cellule saranno raddoppiate.

L’agricoltura cellulare non coltiva tagli di carne, con ossa e pelle, o grasso come in una succulenta bistecca. Le cellule muscolari richiedono condizioni e nutrienti diversi rispetto alle cellule adipose, quindi devono essere prodotte separatamente. Quando la carne o il grasso puro vengono raccolti, è una pasta informe di cellule. Questo è il motivo per cui i primi prodotti a base di carne coltivata serviti sono stati bocconcini di pollo o hamburger.

Poiché sono prodotti in un ambiente sterile, c’è meno rischio di contaminazione da malattie e sostanze chimiche. Ciò è in contrasto con l’agricoltura convenzionale in cui hai un animale vivo macellato sul pavimento. Se guardi alla salmonella, E. coli, contaminazione fecale che fa parte dell’agricoltura animale, sembra molto meglio dal punto di vista della carne coltivata che dal punto di vista della carne convenzionale.

La verità è che non possiamo saperlo finché non avviene la produzione di massa. La modellazione dei potenziali impatti di un’industria biotecnologica in rapida evoluzione che è ancora in fase di sviluppo è soggetta a molti se e ma. Uno studio del 2019 dell’Università di Oxford ha avvertito che l’energia utilizzata per produrre carne coltivata potrebbe rilasciare più gas serra rispetto all’agricoltura tradizionale e quindi ?

Pelle Sinke, ricercatrice presso la società di consulenza sulla sostenibilità con sede nei Paesi Bassi CE Delft, che non era coinvolta nella ricerca, afferma che la parte dello studio che presupponeva l’uso di elettricità generata da un’ampia percentuale di combustibili fossili ha evidenziato l’importanza dell’energia rinnovabile per la produzione di carne coltivata .

“In alcuni scenari, la carne coltivata ha avuto un effetto di riscaldamento globale più elevato e in altri  un effetto inferiore, a seconda dei livelli di consumo, del consumo energetico previsto per la carne coltivata e del sistema di bovini da carne a cui è stata confrontata”.

Sinke aggiunge che lo studio, tuttavia, non tiene conto del minore utilizzo di terra da parte della carne coltivata. “[C’è] la possibilità di utilizzare quella terra per la produzione di proteine ​​vegetali, la natura e la produzione di energia extra rinnovabile, che a sua volta influenza le emissioni di CO2 della carne coltivata”, afferma.

Ora che il siero bovino fetale è fuori mano, i vegetariani potrebbero, eticamente parlando, mangiare questa carne, se ne hanno appetito.

L’elemento religioso è un po’ più complicato. Affinché la carne sia consentita dalle leggi islamiche ed ebraiche, ci sono regole rigide su come gli animali vengono macellati e su come viene preparata la carne. La carne coltivata è destinata a scatenare vivaci dibattiti tra i leader religiosi di tutto il mondo (le interpretazioni delle scritture variano geograficamente), e ha già iniziato a farlo in alcune zone.

Coltivare carne da cellule di carne kosher o halal risolverebbe il problema? In Indonesia, che ha la più grande popolazione musulmana del mondo, l’influente organizzazione musulmana Nahdlatul Ulama ha rilasciato una dichiarazione inserendo la carne coltivata nella “categoria di carcassa che è legalmente impura e il cui consumo è proibito”.

Tra quindi produzione di gas, sicurezza alimentare e motivi religiosi, la diffusione della carne o del futuro pesce o addirittura formaggi o altro prodotti in laboratorio e’ ancora lunga e non sappiamo se le nostre generazioni ne vedranno la diffusione.

Intanto ci accontentiamo degli insetti, altra novita’ alimentare frutto di una politica miope che vede nelle nascite la soluzione di un mondo che sta andando invece a rotoli proprio a motivo della sovrapopolazione e dello sfruttamento delle persone per fini economici

Una revisione sull’utilizzo del Calcio come integratore nelle diete povere di calcio

LE DIETE OGGI MOLTO SPESSO PER ERRATE VALUTAZIONI SUL RUOLO NEGATIVO DEI LATTICINI SONO POVERE DI CALCIO

Diversi studi e revisioni recenti hanno riportato che l’integrazione di calcio da sola o in combinazione con altri ingredienti influisce sulla perdita di peso o sulla perdita di grasso. La ricerca ha indicato che il calcio modula la 1,25-diidrossivitamina D che serve a regolare i livelli intracellulari di calcio nelle cellule adipose. L’aumento della disponibilità alimentare di calcio riduce la 1,25-diidrossivitamina D e promuove la riduzione della massa grassa negli animali. È stato dimostrato che il calcio nella dieta sopprime il metabolismo dei grassi e l’aumento di peso durante i periodi di elevato apporto calorico. Inoltre, è stato dimostrato che l’aumento dell’assunzione di calcio aumenta il metabolismo dei grassi e preserva la termogenesi durante la restrizione calorica. A sostegno di questa teoria, Davies e colleghi  hanno riferito che il calcio nella dieta era correlato negativamente al peso e che l’integrazione di calcio (1.000 mg/giorno) rappresentava una perdita di peso di 8 kg in un periodo di 4 anni. Inoltre, Zemel e colleghi hanno riferito che il calcio supplementare (800 mg/die) o un’elevata assunzione dietetica di calcio (1.200 – 1.300 mg/die) durante un programma di perdita di peso di 24 settimane hanno favorito una perdita di peso significativamente maggiore (26-70%) e l’assorbimetro a raggi X a doppia energia (DEXA) ha determinato la perdita di massa grassa (38-64%) rispetto ai soggetti con una dieta a basso contenuto di calcio (400-500 mg/giorno). Questi risultati e altri suggeriscono una forte relazione tra l’assunzione di calcio e la perdita di grasso. Tuttavia, è necessario condurre ulteriori ricerche prima di poter trarre conclusioni definitive

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CON IL SUPERBOWL ALLE SPALLE

COME SI NUTRONO I GIOCATORI DEL FOOTBALL SECONDO DR. BONCI nutrizionista NFL

“Alcuni dei ragazzi bevono un bicchiere di latte, proprio come facevano alle elementari… e funziona come fonte di carburante prima della partita”, ha detto Bonci. “Ad alcuni di loro piace essere un po’ più sofisticati o fantasiosi con le loro scelte alimentari, ma alla fine, cosa starà comodamente nello stomaco quando la posta in gioco è alta, questo è davvero quello che stiamo cercando. “

Altri cibi che secondo Bonci sono popolari tra i giocatori della NFL sono lo yogurt, greco o normale, da solo o come semifreddo; frullati tipicamente a base di frutta, eventualmente con l’aggiunta di proteine ​​in polvere; soffritto di verdure; uova; e carboidrati complessi.

 

La farina d’avena è “davvero confortante perché è un alimento confortevole. A loro piace. Anche le zuppe sono ottime, perché liquide e nutritive”, ha detto, aggiungendo che anche il pollo è una fonte proteica popolare.

 

Mike Minnis, coordinatore della nutrizione delle prestazioni e assistente allenatore della forza per i Philadelphia Eagles – la squadra vincitrice del Super Bowl 2018 – ha dichiarato in una e-mail che è fondamentale rimanere coerenti con le scelte alimentari e dei pasti prima di una partita importante.

 

“Non c’è necessariamente alcun cibo ‘magico’ che consigliamo ai giocatori di mangiare prima del Super Bowl. La cosa più importante è la coerenza e cercare di mantenere lo stesso programma alimentare a cui sono abituati, in particolare la settimana che precede la partita “, ha affermato Minnis, membro della Collegiate and Professional Sports Dietitians Association.

 

“Al momento del Super Bowl, i giocatori si sono allenati e hanno giocato per più di 20 settimane e il recupero prima della partita è cruciale. Vogliamo anche assicurarci che gli atleti mantengano il loro peso e si riforniscano adeguatamente durante la settimana che precede la partita, in modo che abbiano il serbatoio pieno quando suonerà il fischio”, ha affermato. “Ancora più importante, non vorremmo che l’atleta mangiasse un cibo che non aveva mai mangiato prima, specialmente il giorno della partita”.

 

Mangia, dormi e allenati come un atleta del futuro

Gli unici cibi che Minnis non consiglierebbe il giorno del Super Bowl sarebbero quelli estremamente ricchi di grassi o fibre, ha detto. “Questi alimenti possono rimanere nell’intestino più a lungo di altri e potrebbero potenzialmente causare alcuni disturbi gastrointestinali avversi se consumati in eccesso”.

Anche la tempistica di un pasto rimane importante; la maggior parte dei giocatori mangerà circa tre ore prima di una partita, ha detto Bonci.

 

“Un pasto può essere tre ore prima, ma ciò non significa che tutti lo mangino”, ha detto Bonci.

 

“Il fattore nervoso è lì, e ci sono molti giocatori che semplicemente non hanno appetito”, ha detto. “In genere, più ti avvicini, minore è la quantità di cibo che vuoi avere. Quindi, se qualcuno vuole fare qualcosa di solo liquido, come un frullato, potresti farlo un’ora prima.

 

Nel complesso, ogni giocatore della NFL ha in genere una dieta personalizzata e la quantità di calorie che consuma ogni giorno può variare.

 

“Penso che ci sia un’idea sbagliata che ogni giocatore della NFL segua una dieta da 6.000 calorie. Questo non è necessariamente vero”, ha detto Minnis.

 

“Una cosa da considerare è che il carico di allenamento e lo stimolo delle pratiche e dell’allenamento generale di solito cambiano con l’avanzare della stagione e, di conseguenza, l’atleta non sta bruciando quasi lo stesso numero di calorie che aveva prima nel campo di allenamento e al all’inizio della stagione”, ha detto. “Inoltre, in tutti i gruppi di posizione, hai un’enorme varietà di pesi e composizioni corporee, e ognuno ha obiettivi diversi rispetto a se stesso e quindi la dieta deve essere estremamente personalizzata legata alle abitudini, allenamenti, stazza fisica e partite

 

ANABOLIZZANTI E PRORMONI NELLO SPORT

attenzione

Il testosterone e l’ormone della crescita sono due ormoni primari nel corpo che servono a promuovere l’aumento della massa muscolare (cioè l’anabolismo) e la forza mentre diminuiscono la disgregazione muscolare (catabolismo) e la massa grassa. Il testosterone promuove anche le caratteristiche del sesso maschile (ad esempio, capelli, voce profonda, ecc.). Gli steroidi anabolizzanti a basso livello sono spesso prescritti dai medici per prevenire la perdita di massa muscolare per le persone con varie malattie. È noto che gli atleti hanno sperimentato grandi dosi di steroidi anabolizzanti nel tentativo di migliorare gli adattamenti all’allenamento, aumentare la massa muscolare e/o promuovere il recupero durante l’allenamento intenso. La ricerca ha generalmente dimostrato che l’uso di steroidi anabolizzanti e ormone della crescita durante l’allenamento può favorire l’aumento della forza e della massa muscolare. Tuttavia, sono stati segnalati numerosi effetti avversi potenzialmente letali dell’abuso di steroidi, tra cui disfunzione epatica e ormonale, iperlipidemia (colesterolo alto), aumento del rischio di malattie cardiovascolari, tumori e cambiamenti comportamentali (ad esempio, rabbia da steroidi). Alcuni degli effetti avversi associati all’uso di questi agenti sono irreversibili, in particolare nelle donne. Per questo motivo, gli steroidi anabolizzanti sono stati vietati dalla maggior parte delle organizzazioni sportive e dovrebbero essere evitati a meno che non siano stati prescritti da un medico per curare una malattia.

I proormoni (androstenedione, 4-androstenediol, 19-nor-4-androstenedione, 19-nor-4-androstenediol, 7-keto DHEA e DHEA, ecc.) sono precursori di origine naturale del testosterone o di altri steroidi anabolizzanti. I pro-ormoni sono diventati popolari tra i body builder perché credono di essere stimolatori naturali degli ormoni anabolici. Di conseguenza, un certo numero di integratori da banco contengono pro-ormoni. Mentre ci sono alcuni dati che indicano che i proormoni aumentano i livelli di testosterone, non c’è praticamente alcuna prova che questi composti influenzino gli adattamenti all’allenamento negli uomini più giovani con livelli ormonali normali. Infatti, la maggior parte degli studi indica che non influenzano il testosterone e che alcuni possono effettivamente aumentare i livelli di estrogeni e ridurre il colesterolo HDL. Di conseguenza, sebbene possano esserci alcune potenziali applicazioni per gli individui più anziani per sostituire i livelli di androgeni in diminuzione, sembra che i pro-ormoni non abbiano alcun valore di allenamento. Poiché i proormoni sono “composti simili agli steroidi”, la maggior parte delle organizzazioni atletiche ne ha vietato l’uso. L’uso di integratori alimentari contenenti pro-ormoni risulterà in un test antidroga positivo per gli steroidi anabolizzanti. Si ritiene che l’uso di integratori contenenti consapevolmente o inconsapevolmente proormoni abbia contribuito a una serie di recenti test antidroga positivi tra gli atleti. Di conseguenza, occorre prestare attenzione per assicurarsi che qualsiasi integratore che un atleta prende in considerazione non contenga precursori di pro-ormoni, in particolare se il loro sport vieta e testa l’uso di tali composti. È degno di nota ricordare che molti pro-ormoni non sono legali per la vendita negli Stati Uniti dall’approvazione dell’Anabolic Steroid Control Act del 2004. L’eccezione distintiva a questo è il DHEA, che è stato oggetto di numerosi studi clinici nelle popolazioni che invecchiano.

Piuttosto che fornire al corpo un precursore del testosterone, una tecnica più recente per migliorare il testosterone endogeno è stata quella di inibire l’attività dell’aromatasi. Due studi hanno studiato gli effetti degli inibitori dell’aromatasi (androst-4-ene-3,6,17-trione) e (hydroxyandrost-4-ene-6,17-dioxo-3-THP ether e 3,17-diketo-androst -1,4,6-triene). In entrambe queste indagini, è stato riportato che i livelli di testosterone libero e diidrotesterone erano significativamente aumentati. La massa muscolare/massa magra non è stata misurata in un’indagine e non sono stati osservati cambiamenti nella massa magra nell’altra indagine.

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