LE CALORIE NELLA DIETA DI UN ATLETA

Una dieta ben progettata che soddisfi le esigenze di assunzione di energia e incorpori la corretta tempistica dei nutrienti è la base su cui può essere sviluppato un buon programma di allenamento. La ricerca ha chiaramente dimostrato che non ingerire una quantità sufficiente di calorie e/o abbastanza del giusto tipo di macronutrienti può ostacolare gli adattamenti dell’allenamento di un atleta mentre gli atleti che consumano una dieta equilibrata che soddisfi il fabbisogno energetico possono aumentare gli adattamenti fisiologici dell’allenamento. Inoltre, il mantenimento di una dieta carente di energia durante l’allenamento può portare alla perdita di massa muscolare e forza, maggiore suscettibilità alle malattie e maggiore prevalenza di overreaching e/o sovrallenamento. Incorporare buone pratiche dietetiche come parte di un programma di allenamento è un modo per aiutare a ottimizzare gli adattamenti dell’allenamento e prevenire il sovrallenamento.

Il primo componente per ottimizzare l’allenamento e le prestazioni attraverso l’alimentazione è garantire che l’atleta stia consumando abbastanza calorie per compensare il dispendio energetico . Le persone che partecipano a un programma di fitness generale (es. esercizio 30 – 40 minuti al giorno, 3 volte a settimana) possono in genere soddisfare i bisogni nutrizionali seguendo una dieta normale (es. 1.800 – 2.400 kcal/giorno o circa 25 – 35 kcal/kg /giorno per un individuo di 50 – 80 kg) perché il loro fabbisogno calorico dall’esercizio non è troppo grande (es. 200 – 400 kcal/sessione) . Tuttavia, gli atleti coinvolti in livelli moderati di allenamento intenso (es. 2-3 ore al giorno di esercizio intenso eseguiti 5-6 volte a settimana) o allenamenti intensi ad alto volume (es. 3-6 ore al giorno di allenamento intenso in 1- 2 allenamenti per 5-6 giorni a settimana) possono consumare 600 – 1.200 kcal o più all’ora durante l’esercizio . Per questo motivo, il loro fabbisogno calorico può avvicinarsi a 50 – 80 kcal/kg/giorno (2.500 – 8.000 kcal/giorno per un atleta di 50 – 100 kg). Per gli atleti d’élite, il dispendio energetico durante l’allenamento intenso o la competizione può essere enorme. Ad esempio, il dispendio energetico per i ciclisti per partecipare al Tour de France è stato stimato fino a 12.000 kcal/giorno (150 – 200 kcal/kg/giorno per un atleta di 60 – 80 kg) [–]. Inoltre, il fabbisogno calorico per gli atleti di grandi dimensioni (cioè 100 – 150 kg) può variare tra 6.000 – 12.000 kcal/giorno a seconda del volume e dell’intensità delle diverse fasi di allenamento .

Sebbene alcuni sostengano che gli atleti possano soddisfare il fabbisogno calorico semplicemente consumando una dieta ben bilanciata, è spesso molto difficile per gli atleti più grandi e/o gli atleti impegnati in un allenamento ad alto volume/intenso essere in grado di mangiare abbastanza cibo per soddisfare il fabbisogno calorico . Mantenere una dieta carente di energia durante l’allenamento porta spesso a una significativa perdita di peso (compresa la massa muscolare), malattie, insorgenza di sintomi fisici e psicologici di sovrallenamento e riduzioni delle prestazioni. Le analisi nutrizionali delle diete degli atleti hanno rivelato che molti sono suscettibili a mantenere un apporto energetico negativo durante l’allenamento. Le popolazioni suscettibili includono corridori, ciclisti, nuotatori, triatleti, ginnasti, pattinatori, ballerini, lottatori, pugili e atleti che tentano di perdere peso troppo rapidamente. Inoltre, è stato segnalato che le atlete hanno un’alta incidenza di disturbi alimentari . Di conseguenza, è importante che lo specialista della nutrizione sportiva che lavora con gli atleti si assicuri che gli atleti siano ben nutriti e consumino abbastanza calorie per compensare l’aumento del fabbisogno energetico dell’allenamento e mantenere il peso corporeo. Anche se questo suona relativamente semplice, un allenamento intenso spesso sopprime l’appetito e/o altera i modelli di fame in modo che molti atleti non abbiano voglia di mangiare. Ad alcuni atleti non piace fare esercizio entro diverse ore dopo aver mangiato a causa di sensazioni di pienezza e/o predisposizione a causare disturbi gastrointestinali. Inoltre, i programmi di viaggio e di allenamento possono limitare la disponibilità di cibo e/o i tipi di cibo a cui gli atleti sono abituati. Ciò significa che è necessario prestare attenzione nel pianificare gli orari dei pasti di concerto con l’allenamento, nonché per assicurarsi che gli atleti abbiano una disponibilità sufficiente di cibi densi di nutrienti durante il giorno per gli spuntini tra i pasti (ad es. bevande, frutta, barrette di carboidrati/proteine, ecc. ) . Per questo motivo i nutrizionisti sportivi consigliano spesso agli atleti di consumare 4-6 pasti al giorno e spuntini tra i pasti per soddisfare il fabbisogno energetico. L’uso di barrette energetiche ricche di nutrienti e integratori di carboidrati/proteine ​​ad alto contenuto calorico fornisce agli atleti un modo conveniente per integrare la propria dieta al fine di mantenere l’apporto energetico durante l’allenamento.

VALORE ERGOGENICO DI UN INTEGRATORE E RUOLO DEL NUTRIZIONISTA

Un aiuto ergogenico è qualsiasi tecnica di allenamento, dispositivo meccanico, pratica nutrizionale, metodo farmacologico o tecnica psicologica che può migliorare la capacità di prestazione dell’esercizio e/o migliorare gli adattamenti dell’allenamento . Ciò include aiuti che possono aiutare a preparare un individuo all’esercizio, migliorare l’efficienza dell’esercizio e/o migliorare il recupero dall’esercizio. Gli ausili ergogenici possono anche consentire a un individuo di tollerare un allenamento pesante in misura maggiore, aiutandolo a riprendersi più velocemente o aiutandolo a rimanere senza infortuni e/o in salute durante l’allenamento intenso. Sebbene questa definizione sembri piuttosto semplice, c’è un considerevole dibattito sul valore ergogenico di vari integratori alimentari. Alcuni specialisti della nutrizione sportiva considerano un integratore ergogeno solo se gli studi dimostrano che l’integratore migliora significativamente le prestazioni dell’esercizio (ad esempio, aiuta a correre più velocemente, a sollevare più peso e/o a svolgere più lavoro durante un determinato esercizio). D’altra parte, alcuni ritengono che se un integratore aiuta a preparare un atleta a svolgere o migliora il recupero dall’esercizio, ha il potenziale per migliorare gli adattamenti dell’allenamento e quindi dovrebbe essere considerato ergogenico. Secondo l’ISSN, si dovrebbe avere una visione più ampia del valore ergogenico degli integratori. Mentre siamo interessati a determinare gli effetti di miglioramento delle prestazioni di un integratore su una singola sessione di esercizio, ci rendiamo anche conto che uno degli obiettivi dell’allenamento è aiutare le persone a tollerare un grado maggiore di allenamento. Gli individui che si adattano meglio a livelli di allenamento elevati di solito sperimentano maggiori guadagni dall’allenamento nel tempo, il che può portare a prestazioni migliori. Di conseguenza, anche l’impiego di pratiche nutrizionali che aiutino a preparare le persone a svolgere e/o a migliorare il recupero dall’esercizio dovrebbe essere considerato ergogenico.

Una delle domande più comuni sollevate da atleti, genitori e professionisti in merito agli integratori alimentari riguarda il modo in cui vengono prodotti e la consapevolezza dei consumatori sulla qualità degli integratori. In un certo numero di casi, aziende rispettabili che sviluppano integratori alimentari hanno team di ricerca che perlustrano la letteratura medica e scientifica alla ricerca di nutrienti potenzialmente efficaci. Questi gruppi di ricerca partecipano spesso a riunioni scientifiche e rivedono gli ultimi brevetti, abstract di ricerca presentati a riunioni scientifiche e pubblicazioni di ricerca. Possono anche consultare i principali ricercatori per discutere idee sugli integratori alimentari che possono essere commercializzati. Le aziende leader investono nella ricerca di base sui nutrienti prima di sviluppare le loro formulazioni di integratori. Altri aspettano che la ricerca sia stata presentata in brevetti, abstract di ricerca o pubblicazioni prima di sviluppare formulazioni nutrizionali con il nutriente. Una volta che un nuovo nutriente o formulazione è stato identificato, il passo successivo è contattare i fornitori di ingredienti grezzi per vedere se il nutriente può essere ottenuto in una fonte altamente pura e/o se è conveniente. A volte, le aziende sviluppano e brevettano nuovi processi di lavorazione e purificazione perché il nutriente non è stato ancora estratto in forma pura o non è disponibile in grandi quantità. Rinomati produttori di materie prime conducono test approfonditi per esaminare la purezza delle loro materie prime. Se l’azienda sta lavorando su un nuovo ingrediente, spesso conduce studi di tossicità sul nuovo nutriente una volta identificata una fonte purificata. Avrebbero quindi compilato un dossier di sicurezza e lo avrebbero comunicato alla FDA come presentazione di un nuovo ingrediente dietetico, con la speranza che fosse consentita la vendita legale.

Quando viene progettata una formulazione in polvere, l’elenco degli ingredienti e delle materie prime viene in genere inviato a una casa di aromatizzazione e a un’azienda di confezionamento per identificare il modo migliore per aromatizzare e confezionare l’integratore. Nel settore della nutrizione, ci sono diverse case di aromi e aziende di confezionamento principali che producono un gran numero di integratori alimentari per le aziende di integratori alimentari. La maggior parte dei rinomati produttori di integratori alimentari sottopongono i loro impianti di produzione all’ispezione della FDA e aderiscono alle buone pratiche di fabbricazione (GMP), che rappresentano gli standard del settore per una buona produzione di integratori alimentari. Alcune aziende sottopongono i loro prodotti anche a test indipendenti da parte di società di terze parti per certificare che i loro prodotti soddisfino le dichiarazioni sull’etichetta. In america ad esempio, il servizio di certificazione di NSF include test dei prodotti, ispezioni GMP, monitoraggio continuo e uso del marchio NSF che indica che i prodotti sono conformi agli standard di ispezione e screening per i contaminanti. Più di recente, le aziende hanno sottoposto i loro prodotti a test da parte di società terze per verificare la presenza di sostanze vietate o indesiderate. Questi tipi di test aiutano a garantire che ogni lotto dell’integratore alimentare non contenga sostanze vietate dal Comitato olimpico internazionale o da altri organi di governo atletico . Sebbene i test di terze parti non garantiscano che un supplemento sia privo di sostanze vietate, la probabilità è molto inferiore (ad esempio, Banned Substances Control Group, Informed Choice, ecc.). Inoltre, i consumatori possono richiedere copie dei risultati di questi test. In base alla nostra esperienza, non vale la pena acquistare le aziende che non sono disposte a fornire copie dei risultati dei test.

Si  raccomanda di passare attraverso un processo di valutazione della validità e del merito scientifico delle affermazioni fatte quando si valuta il valore ergogenico di un integratore/tecnica alimentare. Ciò può essere ottenuto esaminando la logica teorica alla base del supplemento/tecnica e determinando se esistono dati ben controllati che mostrano il funzionamento del supplemento/tecnica. Potrebbe valere la pena provare e/o raccomandare integratori basati su solide basi scientifiche con una ricerca diretta e di supporto che dimostri l’efficacia. Tuttavia, quelli basati su risultati scientifici non validi e/o dati scarsi o nulli a supporto del valore ergogenico dell’integratore/tecnica effettivo potrebbero non essere utili. Lo specialista in nutrizione sportiva dovrebbe essere una risorsa per aiutare i propri clienti a interpretare la ricerca scientifica e medica che può avere un impatto sul loro benessere e/o aiutarli ad allenarsi in modo più saggio ed efficace.

Posizione della ISSN sul consumo di proteine negli sport di fondo

L’International Society of Sports Nutrition (ISSN) fornisce una revisione obiettiva e critica relativa all’assunzione di proteine ​​per individui sani e attivi. Sulla base dell’attuale letteratura disponibile, la posizione della Società è la seguente:

Uno stimolo acuto all’esercizio, in particolare l’esercizio di resistenza, e l’ingestione di proteine stimolano entrambi la sintesi proteica muscolare (MPS) e sono sinergici quando il consumo di proteine si verifica prima o dopo l’esercizio di resistenza.

Per la costruzione della massa muscolare e per il mantenimento della massa muscolare attraverso un bilancio proteico muscolare positivo, un apporto proteico giornaliero complessivo compreso tra 1,4 e 2,0 g di proteine/kg di peso corporeo/giorno (g/kg/giorno) è sufficiente per la maggior parte delle persone che fanno esercizio, un valore che rientra nell’intervallo di distribuzione accettabile dei macronutrienti pubblicato dall’Istituto di medicina per le proteine.

Ci sono nuove prove che suggeriscono che una maggiore assunzione di proteine (> 3,0 g/kg/giorno) può avere effetti positivi sulla composizione corporea in individui allenati con la resistenza (cioè, promuovere la perdita di massa grassa).

Le raccomandazioni riguardanti l’assunzione ottimale di proteine per porzione per gli atleti per massimizzare l’MPS sono contrastanti e dipendono dall’età e dai recenti stimoli dell’esercizio di resistenza. Le raccomandazioni generali sono 0,25 g di una proteina di alta qualità per kg di peso corporeo o una dose assoluta di 20-40 g.

Le dosi acute di proteine dovrebbero cercare di contenere 700-3000 mg di leucina e/o un contenuto relativo di leucina più elevato, oltre a una gamma equilibrata di aminoacidi essenziali (EAA).

Queste dosi proteiche dovrebbero idealmente essere distribuite uniformemente, ogni 3-4 h, durante il giorno.

Il periodo di tempo ottimale durante il quale ingerire proteine è probabilmente una questione di tolleranza individuale, poiché i benefici derivano dall’ingestione pre o post allenamento; tuttavia, l’effetto anabolico dell’esercizio è di lunga durata (almeno 24 ore), ma probabilmente diminuisce con l’aumentare del tempo dopo l’esercizio.

Sebbene sia possibile per le persone fisicamente attive ottenere il loro fabbisogno proteico giornaliero attraverso il consumo di cibi integrali, l’integrazione è un modo pratico per garantire l’assunzione di un’adeguata qualità e quantità di proteine, riducendo al minimo l’apporto calorico, in particolare per gli atleti che in genere completano elevati volumi di allenamento.

Le proteine rapidamente digerite che contengono elevate proporzioni di aminoacidi essenziali (EAA) e un’adeguata leucina, sono più efficaci nello stimolare la MPS.

Diversi tipi e qualità di proteine possono influenzare la biodisponibilità degli aminoacidi dopo l’integrazione proteica.

Gli atleti dovrebbero considerare di concentrarsi su fonti proteiche integrali che contengono tutti gli EAA (cioè, sono gli EAA che sono necessari per stimolare la MPS).

Gli atleti di resistenza dovrebbero concentrarsi sul raggiungimento di un’adeguata assunzione di carboidrati per promuovere prestazioni ottimali; l’aggiunta di proteine può aiutare a compensare il danno muscolare e favorire il recupero.

L’assunzione di proteine della caseina pre-sonno (30-40 g) fornisce un aumento della MPS durante la notte e del tasso metabolico senza influenzare la lipolisi.

https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1186/s12970-017-0177-8?src=recsys

  1. Ralf Jäger, Chad M. Kerksick, Bill I. Campbell, Paul J. Cribb, Shawn D. Wells, Tim M. Skwiat, Martin Purpura, Tim N. Ziegenfuss, Arny A. Ferrando, Shawn M. Arent, Abbie E. Smith-Ryan, Jeffrey R. Stout, Paul J. Arciero, Michael J. Ormsbee, Lem W. Taylor, Colin D. Wilborn, Doug S. Kalman, Richard B. Kreider, Darryn S. Willoughby, Jay R. Hoffman, Jamie L. Krzykowski & Jose Antonio (2017) International Society of Sports Nutrition Position Stand: protein and exercise, Journal of the International Society of Sports Nutrition, 14:1, DOI: 10.1186/s12970-017-0177-8

IDRATAZIONE E SPORT DI FONDO

la questione della idratazione negli sport di fondo e’ un problema affrontato periodicamente dai preparatori e dai nutrizionisti di squadre o atleti.

Questo studio mette a confronto runners che corrono meno di un ora con quelli che corrono piu di ora. Per coloro che corrono tempi brevi e inferiori all’ora e’ molto piu’ importante la dieta e la idratazione nei giorni precedenti e preallenamento, per coloro che corrono piu di un ora e’ anche fondamentale per evitare che la disidratazione superi il 2% del peso corporeo, la idratazione durante la prestazione.

Questo studio mette inoltre in evidenza che gli equilibri elettrolitici e la distribuzione dei liquidi nel corpo rilevabile con impedenziometria possono variare di molto tra individui. Essendo ogni atleta diverso in termini di produzione ormonale, temperatura corporea di base, gestione della temperatura interna, sudorazione e dieta. Una valutazione quindi personalizzata e’ importante soprattutto per i runner di lungo periodo.

https://journals.humankinetics.com/view/journals/ijsnem/32/4/article-p233.xml

Conclusion on Creatine use on sport by ISSN

It is the position of the International Society of Sports Nutrition that the use of creatine as a nutritional supplement within established guidelines is safe, effective, and ethical. Despite lingering myths concerning creatine supplementation in conjunction with exercise, CM remains one of the most extensively studied, as well as effective, nutritional aids available to athletes. Hundreds of studies have shown the effectiveness of CM supplementation in improving anaerobic capacity, strength, and lean body mass in conjunction with training. In addition, CM has repeatedly been reported to be safe, as well as possibly beneficial in preventing injury. Finally, the future of creatine research looks bright in regard to the areas of transport mechanisms, improved muscle retention, as well as treatment of numerous clinical maladies via supplementation.

https://link.springer.com/article/10.1186/1550-2783-4-6

ALTERAZIONI MINERALI INDOTTE DA FARMACI

I cambiamenti più comuni sono quelli riguardanti potassio, sodio, magnesio, ferro, calcio, zinco e rame. In effetti, alcuni farmaci possono aumentare l’escrezione di potassio e la ritenzione di sodio, o ridurre l’assorbimento o il rilascio di iodio, ridurre l’assorbimento di ferro e zinco e aumentare i livelli di rame.

L’ipopotassiemia è frequentemente associata ai diuretici (diuretici dell’ansa e tiazidici), stimolanti β-adrenergici o agenti lassativi, così come alcuni anticorpi monoclonali usati in oncologia. L’iperkaliemia può verificarsi anche durante la terapia con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone , ACE-inibitori, bloccanti del recettore dell’angiotensina II (ARB), antagonisti del recettore dell’aldosterone, β-bloccanti, agenti antinfiammatori non steroidei (FANS), eparine , immunosoppressori (es. tacrolimus, ciclosporina), corticoidi minerali e glucocorticoidi, digossina

Un certo numero di farmaci può causare ipomagnesiemia [1]

I farmaci antibatterici, come le tetracicline, formano un complesso insolubile con cationi metallici; gli antiacidi abbassano il pH gastrico e causano una sottoregolazione del trasportatore intestinale attivo per il magnesio TRPM6, mentre i tiazidici e i diuretici dell’ansa impediscono il riassorbimento del magnesio a livello renale. Alcuni agenti antineoplastici (es. Cisplatino) e pillole anticoncezionali causano un aumento dell’escrezione renale di magnesio. Infine, anche gli inibitori della calcineurina e i leganti intestinali del fosfato a base di ferro sono associati all’ipomagnesiemia [2].

La carenza di ferro invece può essere dovuta a un ridotto assorbimento, causato principalmente da antibiotici come tetracicline e chinoloni e da farmaci antisecretori gastrici, ovvero antagonisti dei recettori PPI e H2. La secrezione acida gastrica, infatti, facilita l’assorbimento del ferro libero, consentendo la sua conversione nella forma ferrosa più assorbibile di quella ferrica; quindi, nel ridurre l’acidità gastrica, l’assorbimento alimentare di questo minerale è meno efficiente.

Una condizione di ipocalcemia può essere il risultato di quattro diverse condizioni : ipoparatiroidismo, ipovitaminosi D, agenti leganti il ​​calcio o alterato riassorbimento osseo. I farmaci più spesso associati all’ipocalcemia sono i diuretici dell’ansa (per una maggiore escrezione di calcio), agenti chelanti (es. etilendiamminotetracetato, citrato, fosfato), farmaci antineoplastici (es. cisplatino, leucovorin, 5-fluorouracile, nab-paclitaxel, axitinib), bifosfati, calcitonina e denosumab (un anticorpo monoclonale usato per trattare l’osteoporosi).

  1. – Gröber, U. Magnesium and Drugs. Int. J. Mol. Sci. 2019, 20, 2094
  2. – Liamis, G.; Hoorn, E.J.; Florentin, M.; Milionis, H. An Overview of Diagnosis and Management of Drug-Induced Hypomagnesemia. Pharmacol. Res. Perspect. 2021, 9, e00829. 

NUTRIZIONE PREDITTIVA

genetica, diabete e sovrappeso dr. Marco Zanetti

Con la scoperta del Dna e la sua decifrazione completa, si sono sviluppati negli anni delle scienze predittive che analizzano le mutazioni genetiche che portano a sviluppare malattie se non corrette, utili ad esempio in gravidanza, ma anche test di predizione che analizzano piccole mutazioni presenti su determinati geni che determinano una maggiore predisposizione a sviluppare malattie e che solo un comportamento corretto e una azione di prevenzione potrà prevenire

Attraverso test genetici specifici si possono quindi adottare indicazioni alimentari specifici atti a rallentare l’insorgenza di possibili patologie. Ovviamente non si tratta di certezze. A volte anche se ci sono predisposizioni specifiche non sappiamo in quanto tempo e se svilupperemo la patologia. Inoltre attuare delle indicazioni alimentari specifiche potrebbe aiutare per lo meno a fare la cosa giusta per noi

Oggi parliamo da un punto di vista genetico delle predisposizioni al sovrappeso e al diabete, due problemi metabolici spesso correlati tra loro

METABOLISMO INSULINA

Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina. L’insulina è l’ormone, prodotto dal pancreas, che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo sanguigno.

Il polimorfismo TCF7L2 (rs7903146) è stato associato ad un aumentato rischio di diabete di tipo II. Questo polimorfismo è associato a ridotta secrezione insulinica in soggetti a rischio di diabete. L’aumentato rischio sarebbe dovuto alla disfunzione b-cellulare ed all’alterato metabolismo delle incretine. Infatti, il TCF7L2 è un fattore di trascrizione nucleare che, quando è attivato, è capace di influenzare la differenziazione cellulare e di aumentare la produzione endogena dell’ormone GLP-1. Presenza allele T: possibile aumentato rischio per diabete tipo 2.

Il gene PPARG codifica invece per un recettore del glitazone che si trova soprattutto nelle cellule adipose. L’attivazione di PPARG aumenta la sensibilità all’insulina ed è implicato anche nello sviluppo degli adipociti. La presenza dell’allele G è associata a possibile predisposizione all’aumento di peso e rischio per il diabete tipo 2.

CONTROLLO DEL PESO

L’obesità è una malattia multifattoriale che ha una predisposizione genetica ma che necessita di condizioni

ambientali, abitudini, per manifestarsi. Il gene FTO (gene obesità-associato) svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo lipidico e della lipolisi, cioè la capacità individuale di mobilizzare il grasso corporeo.

Numerosi studi hanno dimostrato come il polimorfismo rs9939609 moduli la suscettibilità all’accumulo di peso corporeo. La presenza dell’allele A è associata ad un possibile aumento del peso.

Il gene MC4R codifica per una proteina chiamata recettore per la melancortina-4. L’attivazione di questo recettore sopprime il senso della fame, quindi il suo deficit provoca: ingestione di cibo in eccesso già nel primo anno di vita, aumento dei livelli di insulina e della massa grassa. Nel merito l’allele C è più sfavorevole e predispone all’aumento di peso, infatti è stato dimostrato come i livelli di espressione di MC4R siano correlati con la distribuzione del grasso corporeo e la percentuale di assunzione di energia da carboidrati e grassi.

Il gene Leptin codifica per l’ormone proteico leptina che controlla il peso corporeo, regolando l’assunzione di cibo e dispendio di energia. La leptina è uno dei principali ormoni prodotti dal tessuto adiposo e agisce nella regolazione del bilancio delle risorse energetiche. La leptina arriva nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) attraverso la barriera ematoencefalica mediante un meccanismo di trasporto mediato da specifici recettori. Questo segnale di natura ormonale ha lo scopo di informare il SNC sullo stato di riserve energetiche dell’individuo. Agisce regolando l’apporto alimentare attraverso l’inibizione della sintesi e del rilascio del neuropeptide Y (NPY) che stimola l’appetito. Presenza allele A (Leptin): possibile fattore di rischio cardiovascolare e tendenza all’obesità.

Il NPY, codificato dal omonimo gene, è un potente stimolatore dell’appetito ed ha uno spiccato effetto oressizzante. Tuttavia, livelli elevati di NPY possono provocare ipotensione, ipotermia e depressione dei centri respiratori. È inoltre in grado di provocare vasocostrizione delle arterie cerebrali. La localizzazione di NPY nell’ippocampo lo rende importante nei processi di apprendimento e memoria; in questa regione del cervello è capace di stimolare la proliferazione neuronale, ciò è in accordo con le sue proprietà antidepressive. Presenza allele C (NPY): possibile fattore di rischio cardiovascolare e predisposizione all’aumento di peso

Dieta e genetica: nuove prospettive

AUTORE CRISTIANA LO NIGRO

Articolo scritto dalla Dott.ssa Cristiana Lo Nigro

Già Ippocrate, il padre della medicina, che visse 400 anni prima della nascita di Cristo, aveva ben compreso l’importanza dell’alimentazione per il nostro benessere psico-fisico, tanto da sostenere “Fa’ che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”.

Al giorno d’oggi non soltanto è noto quanto l’alimentazione influisca sullo sviluppo di numerose patologie multifattoriali (malattie cardiovascolari, diabete, tumori), ma si iniziano a conoscere anche le basi molecolari dell’influenza reciproca tra geni e dieta.

La variabilità genetica individuale influenza il modo in cui i nutrienti possono essere assimilati, metabolizzati, accumulati ed escreti: in poche parole, ciascuno risponde a modo suo alle molecole introdotte nell’organismo e, in generale, agli stili alimentari e di vita.

Lo studio delle interazioni tra nutrienti e composti della dieta con i comparti cellulari e le reazioni biochimiche viene approfondito mediante due nuove discipline della genetica e della biologia molecolare: la nutrigenetica (o genetica nutrizionale) e la nutrigenomica (o genomica nutrizionale).

La prima studia l’impatto della diversità genetica degli individui sul metabolismo dei nutrienti e dei composti introdotti con la dieta. Il DNA, che è proprio di ogni individuo, influenza la risposta dell’organismo ai vari alimenti e la conseguente ricaduta sulla salute.

La nutrigenomica studia il rapporto tra DNA e genoma, quindi l’impatto dei diversi elementi (macronutrienti, micronutrienti e composti bioattivi) introdotti con la dieta sul nostro genoma e cerca di comprendere quanto la dieta influenzi l’accensione o il silenziamento del messaggio contenuto nei geni.

A queste discipline recentemente si è aggiunta l’epigenetica nutrizionale che studia le interazioni tra i componenti della dieta e le modifiche dell’espressione genica che avvengono senza modifiche della sequenza del DNA.

Le vecchie conoscenze in ambito di alimentazione ritenevano che una stessa dieta producesse gli stessi effetti su tutti gli individui, ma già nel XX secolo iniziavano a essere individuati alcuni errori congeniti del metabolismo, tra cui la Fenilchetonuria, l’esempio più “classico” di patologia in ambito nutrigenetico.

La fenilchetonuria come altri difetti congeniti del metabolismo, quali la galattosemia, la tirosinemia, la malattia di Wilson, l’ipercolesterolemia familiare, sono condizioni rare e monogeniche, in cui sono le mutazioni di un singolo gene in un singolo individuo a determinare la malattia.

La situazione diventa complessa nelle patologie di tipo poligenico/multifattoriale, in cui la genetica contribuisce solo in parte all’espressione della malattia.

In patologie come l’obesità, il diabete, l’ipertensione, i tumori, ad esempio, il contributo delle varianti genetiche è ancora poco chiaro.

Tuttavia la ricerca in questi ambiti progredisce rapidamente e i recenti approcci mediante le tecnologie di nuova generazione hanno permesso di individuare varianti genetiche/genomiche associate allo sviluppo di determinate malattie o protettive nei confronti delle stesse, ma i dati finora sono ancora parziali e non conclusivi, nonostante gli ampi campioni di popolazione analizzati.

Da questi nuovi campi di studio si auspica che possano scaturire interventi di prevenzione e di cura atti a controllare alcune patologie cronico-degenerative determinate dalla cattiva interazione geni-alimenti, soprattutto mediante la modifica di comportamenti alimentari in alcuni momenti fondamentali della vita dell’individuo. Per esempio, secondo alcuni studi, i primi mille giorni, potrebbero permettere di intervenire in ambito di educazione alla nutrizione per prevenire patologie quali l’obesità infantile e la sindrome metabolica dell’adulto, mediante l’induzione di modifiche genetiche ed epigenetiche.

È ormai accertato che l’interazione di ciò che mangiamo con i nostri geni si ripercuote sul benessere e dal momento che l’interazione degli alimenti con l’organismo dipende dal DNA individuale, si deve tendere il più possibile ad una nutrizione personalizzata.

In ogni settore la personalizzazione delle cure, d’altra parte, è un obiettivo prioritario della medicina contemporanea.

Per concludere ricordiamo che la ricerca è estremamente attiva, con la finalità di rendere sempre più numerose le ricadute pratiche. A tal fine, è auspicabile la collaborazione tra nutrizionisti e laboratori di genetica, per fornire al professionista sanitario il profilo genetico del soggetto, in grado di guidare il consiglio alimentare più adatto per le sue esigenze di benessere e di mantenimento della salute a lungo termine.

Very low carb diets could be incompatible with exercise

dr. M Zanetti

While very low carbohydrate (ketogenic) diets are popular with those trying to lose weight, there are concerns that such diets may not support the desire for exercise. This hypothesis was investigated by a US research team at Arizona State University.

Untrained overweight adults were randomly assigned to a ketogenic diet or a control diet, which was higher in carbohydrates. Both diets were designed to promote weight loss and were consumed for 2 weeks. The macronutrient content of the diets was 5% energy from carbohydrate, 65% from fat and 30% from protein in the ketogenic diet. In the control diet, the respective figures were 40%, 30%, and 30% of energy. Exercise testing was carried out at baseline and at the end of the study.

Average weight loss was similar over the 2-week period for both groups. As expected, subjects following the ketogenic diet demonstrated a large build up of blood ketones, indicating that their bodies were burning fat. Having a high blood ketone level was significantly associated with greater perceived effort during exercise and an increased feeling of fatigue.

The authors concluded that very low carbohydrate ‘ketogenic’ diets could reduce the desire to exercise and, thus, be counter productive for weight management.

For more information, see 
White AM et al (2008). Blood ketones are directly related to fatigue and perceived effort during exercise in overweight adults adhering to low-carbohydrate diets for weight loss: A pilot study. Journal of the American Dietetic Association, Vol 107, pages 1792-96.

RICETTE CON CAROTE TORTA E MELANZANE RAGU

di Dott.ssa Cristiana Lonigro

“Nessuno di noi aveva più fame, ma è proprio questo il bello del momento dei dolci: tutta la loro raffinatezza si coglie solo quando non li mangiamo per placare la fame, solo quando l’orgia di dolcezza zuccherina non soddisfa un bisogno primario, ma ci ricopre il palato di tutta la benevolenza del mondo”.

da Estasi culinarie di Muriel Barbery

Le carote contengono beta-carotene (precursore della vitamina A) che protegge gli epiteli, cioè pelle, mucose e ghiandole ed è un potente antiossidante. Sono ricche di sali minerali tra i quali prevalgono calcio, ferro, fosforo, potassio, magnesio, manganese e zinco.

La carota cotta svolge un’azione lenitiva nei confronti dell’apparato digerente e regolarizza le funzioni intestinali.

ingredienti

400 grammi di carote,

3 uova,

200 grammi di zucchero,

300 grammi di farina (oppure farina di grano saraceno),

1 bicchiere di olio di semi, 1 bustina di lievito, un pizzico di sale.

preparazione

tritate le carote nel mixer e tenetele da parte.

Mescolate insieme uova, zucchero, poi aggiungete l’olio e

 la farina unita al lievito e al sale.

Quando avrete ottenuto un impasto omogeneo mescolateci le carote.

Mettete il tutto in una tortiera foderata di carta forno

e cuocete in forno preriscaldato

a 180° per 20/25 minuti (dipende dal forno che avete). Vale la prova stecchino.

Decorate con zucchero a velo, o zucchero di canna.

Una volta cotta la torta, potete farcirla con marmellata di arance amare.

salto di qualità 80 gr di burro e uvetta

              

A

“Via la soia, niente fagioli azuki, basta col riso basmati. Gorgonzola. Gorgonzola a pranzo e a cena. Sì al bollito misto. Ok alle acciughe al verde. E la mattina appena svegli un bel bicchiere di bagna cauda. Fredda”.

da Col cavolo di Luciana Littizzetto

Il valore nutritivo delle melanzane (di qualsiasi varietà) non è consistente:

contengono infatti poche calorie e una bassa presenza di grassi,

proteine e glucidi.

Sono ricche di acqua, e quindi utili alla diuresi,

potassio, vitamina A e C,

fosforo, calcio, tannino e contengono pochi zuccheri. 

ingredienti

1 melanzana,

2 peperoni,

2 zucchine,

3 carote,

½ cipolla,

2 rape (se grandi, altrimenti 5 piccole),

2 hg di zucca,

2 hg di cavolo nero o verza,

3 patate,

3 pelati o 5 cucchiai di passata rustica,

1 cucchiaio di brodo granulare o dado o preferibilmente brodo vegetale fatto in casa con cipolla, carota e sedano,

olio d’oliva,

qualche pizzico di sale,

peperoncino o tabasco rosso a piacere

preparazione

lavate e asciugate le verdure.

Tagliate in grossi pezzi (indicativamente 1,5 x 1,5 cm)

i peperoni, le melanzane, le zucchine, le rape, la zucca e

le patate e mettete in una padella capiente.

Sbucciate le carote,

tagliatele a rondelline e unite al resto.

Affettate a striscioline la cipolla e il cavolo (o la verza)

e

mescolate insieme agli altri ingredienti,

unendo l’olio

e la passata (o i pelati).

cottura

cuocete stufando con il coperchio; per evitare che le verdure attacchino

 o si brucino,

aggiungete dell’acqua calda, massimo un bicchiere e ½ per volta

e mescolate con garbo.

A metà cottura dosate il dado, il sale e il peperoncino a vostro gusto;

nel caso in cui scegliate di usare il brodo fatto in casa, usatelo al posto dell’acqua calda.

Anche la cottura è soggettiva:

la cottura corretta prevede le carote non troppo molli e

 le patate ben cotte,

la consistenza cremosa nell’insieme,

ma che lasci integro

il sapore di ciascun ingrediente.

Accompagnare a carne, pesce, uova o formaggi freschi.

salto di qualità: il segreto è preparare

il ragù di verdure

un giorno prima e lasciar ‘riposare’ per ventiquattro ore.

Questa pietanza è molto versatile:

eliminando le patate

otterrete un ottimo condimento

per la pasta;

 aggiungendo i ceci,

potrete servire un cous cous vegetariano;

con ricotta, uova e pasta brisée

(meglio eliminare le patate in questo caso)

 otterrete

una saporita torta di verdure.