INTEGRATORI ALIMENTARI FACCIAMO CHIAREZZA

Un integratore alimentare viene definito come un principio biologicamente attivo che aiuta a reintegrare nell’organismo sostanze perse o carenti e/o favorire una funzione fisiologica e/o evitare una funzione patologica.

Lo studio e la ricerca su un principio attivo come integratore, può mettere in evidenza le proprietà funzionali dell’alimento che naturalmente lo contiene, così come lo studio sul principi attivo di un alimento funzionale può identificarne le proprietà nutraceutiche.

La nutraceutica nasce dalla fusione dei termini nutrizione e farmaceutica nel 1989 grazie agli studi di Stephen De Felice che fa convergere in questa branca gli aspetti comuni della nutrizione e della farmacologia.

La nutraceutica è da considerare una branca derivata dalla congiunzione degli studi sulle proprietà farmacologiche e nutrizionali degli alimenti ed in quanto tale si avvale principalmente degli studi e delle ricerche sui principi attivi degli alimenti che hanno particolari attività biologiche in ambito nutrizionale e biochimico-farmacologico.

Il termine “Nutraceutico” non è definito attualmente dalla legislazione comunitaria. Tali prodotti, anche se posseggono proprietà biologiche profilattiche e terapeutiche, dimostrate da studi scientifici e ricerche cliniche, in termini legislativi devono essere definiti “Integratori Alimentari”. In ambito medico, e nutrizionale si parla di nutraceutici per indicare composti presenti negli alimenti che dimostrano una attività biologica in grado di promuovere miglioramenti dello stato di salute attraverso un azione preventiva e/o curativa al di là delle proprietà nutrizionali.

I marcatori per i nutraceutici che devono essere testati e valutati sono:

Marcatori per stabilire la risposta biologica o l’obiettivo funzionale o il cambiamento del concentrazione di un metabolita, di una specifica proteina o enzima o ormone nel siero.

Miglioramenti dello stato di salute o della riduzione del rischio di malattia.

Variazioni individuali o del polimorfismo genetico che agiscono sul metabolismo o l’effetto del componente testato.

Gli alimenti che per loro natura, senza alcuna elaborazione, sono stati classificati come “alimenti funzionali”, devono le loro proprietà a principi attivi ed a sostanze le cui potenzialità biologiche in molti casi sono state isolate, studiate e quindi identificate come “nutraceutici”.

Spesso si fa confusione anche nella letteratura scientifica quando si parla dei nutraceutici come alimenti funzionali e viceversa; i nutraceutici sono solo la componente attiva di un dato cibo e quindi in realtà sono integratori alimentari o usando un termine moderno nutraceutici. Questa confusione nasce probabilmente anche dal fatto che i nutraceutici non sono riconosciuti dalla normativa europea; la legislazione comunitaria parla esclusivamente di Functional Food ( alimenti funzionali ), mentre le sostanze ed i principi attivi secondo le norme vigenti sono classificati come integratori alimentari (legge 2002/83/CE) o come farmaci se autorizzati ed approvati (legge 2004/24/CE).

Il Decreto ministeriale 9 luglio 2012 sulla “Disciplina dell’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali” ed il Decreto 27 marzo 2014 disciplinano l’utilizzo delle piante per l’estrazione di principi attivi da utilizzare come integratori.

A tale proposito vengono riportati due allegati:

Nell’allegato 1 si riporta la lista italiana con le indicazioni di riferimento per gli effetti fisiologici definite dalle linee guida ministeriali, che non costituiscono parte integrante del DM 9 luglio 2012

Nell’allegato 1 bis si include la lista BELFRIT, una lista comune nata dal progetto BELFRIT tra Belgio, Francia e Italia, di sostanze e preparati vegetali (“botanicals”) impiegabili negli integratori alimentari.

Le linee guida ministeriali del Decreto del 9 luglio 2012 e del 27 marzo 2014 sugli integratori alimentari riportano

Indicazioni per i livelli massimi di apporto di vitamine e minerali, disposizioni su probiotici e prebiotici, aminoacidi, acidi grassi, fibra alimentare, disposizioni sull’impiego di preparati vegetali (anche definiti botanicals), disposizioni per sostanze diverse da vitamine, minerali e botanicals.  I nutraceutici vengono proposti ed utilizzati come integratori, o anche addizionati, o integrati negli alimenti per formulare ulteriormente alimenti arricchiti, innovativi e/o funzionali. Sono stati fatti studi su alimenti funzionali e nutraceutici in ambito oncologico così come studi su malattie degenerative, metaboliche, vascolari, autoimmunitarie ed in generale sulle malattie croniche e l’invecchiamento. Un gran numero di componenti vegetali ha mostrato potenziali effetti chemio- protettivi in quanto antiossidanti quindi in grado di ridurre il danno ossidativo del DNA, la mutagenesi, la carcinogenesi e la proliferazione cellulare indotta dall’ossidazione e dall’infiammazione.

Nel Decreto del 27 marzo 2014 per la prima volta vengono riconosciute ai preparati vegetali proprietà ed effetti sulla salute, ma non proprietà terapeutiche.

Le proprietà terapeutiche vengono riconosciute esclusivamente ai farmaci: un farmaco si definisce tale in quanto composto da sostanze note, di cui si conoscono la concentrazione e gli effetti, anche se di origine vegetale; mentre quando si utilizzano preparati di origine vegetale, che si ottengono per estrazione o concentrazione, si parla di fitoterapici, in quanto generalmente contengono altri componenti oltre il principio attivo, che spesso si trova coniugato con altre sostanze sotto forma di fitocomplessi.

Altri termini da inquadrare sono quello di “alicamento” e di “farmalimento”:  Sono definiti “alicamenti” gli alimenti raccolti alla giusta maturazione in modo tale da essere digeriti e integrati con la massima assimilazione dei principi nutritivi naturalmente presenti, la definizione deriva dalla crasi delle parole alimento e medicamento;

Il termine “farmalimento” viene utilizzato come sinonimo di alimento funzionale.

Al giorno d’oggi sono stati identificati circa 30.000 fitocomponenti vegetali, di cui circa 5.000-10.000 sono presenti negli alimenti vegetali di comune consumo, si è calcolato che assumendo 5 porzioni al giorno di frutta e verdura, si garantisce l’apporto di circa 1.5g/die di nutraceutici.  I più importanti principi attivi che rientrano negli alimenti funzionali, negli alimenti arricchiti o negli integratori fanno parte delle seguenti categorie di cui conosciamo bene gli effetti sul corpo: Carotenoidi, Isotiocianati, Fitoestrogeni, Fibre alimentari, Probiotici e Prebiotici, Acidi grassi omega tre

Il supporto del nutrizionista per la performance del calciatore / calciatrice

I

Dr. Natale Gentile

Consulente del settore di nutrizione dell’Area di Performance della FIGC. Responsabile della nutrizione e della supplementazione della Nazionale A femminile di calcio.

Il supporto del nutrizionista per la prestazione fisica del calciatore/calciatrice si concentra essenzialmente  su tre aspetti fondamentali:

1)valutare la composizione corporea;

2)fornire adeguati introiti calorici e dei macronutrienti per sostenere la prestazione fisica favorendo il recupero energetico e muscolare post partita e post allenamento utilizzando il corretto timing d’assunzione dei macronutrienti;

3)implementare, interagendo ed integrandosi con altre professionalità, strategie volte alla prevenzione degli infortuni o volte ad accelerare il recupero dagli infortuni sia nella fase iniziale di immobilizzazione sia in quella successiva di riabilitazione.

Come metodica per la valutazione della composizione corporea facilmente realizzabile e non invasiva si predilige la plicometria, a dispetto di metodiche anche gold standard ma di difficile utilizzo e trasporto.

Il plicometro viene utilizzato per la valutare lo spessore del pannicolo adiposo in varie zone del corpo (punti di repere); tali valori possono essere poi utilizzati in equazioni specifiche sia per sport sia per genere per ottenere una stima della percentuale di massa grassa o più correttamente viene presa in considerazione la sommatoria di pliche; viene di solito utilizzata la sommatoria cioè la somma algebrica di sette pliche cutanee (nello specifico quella addominale, sovrailiaca, coscia mediana, polpaccio, sottoscapolare, tricipitale e bicipitale) che deve essere inferiore ad un valore di cutoff diverso per calciatori e calciatrici.

Il calciatore <<moderno>>  copre una maggiore distanza percorsa ad alta intensità rispetto al passato a parità rispetto sempre al passato di distanza percorsa totale nel corso di un match; tale osservazione determina tutta una serie di conseguenze in termini d’aumento dell’insulto infiammatorio e dello stress ossidativo  per le maggiori sollecitazioni eccentriche a cui è sottoposto l’ atleta; inoltre va considerato il sempre maggiore affollamento del calendario agonistico con tanti impegni agonistici ravvicinati.

Pertanto è fondamentale fornire adeguati introiti calorici e dei macronutrienti, favorire il recupero nel post partita che spesso rappresenta già l’inizio dell’approccio all’evento agonistico successivo.

Considerare gli aspetti degli apporti calorici, dello stato di idratazione, delle deficienze dei micronutrienti, dei livelli di vitamina D e dello stress ossidativo è fondamentale nell’ottica di un approccio integrato a 360° che metta al centro l’atleta allo scopo di ridurre il rischio d’infortunio muscolare.

É fortemente consigliato di evitare di ridurre l’apporto calorico al di sotto di determinati limiti; Loucks et al. hanno dimostrato che introiti calorici ridotti accentuano la fatica, hanno effetto immunosoppressivo e predispongono quindi agli infortuni; inoltre la restrizione calorica ha come effetto secondario anche quello di provocare deficienze di micronutrienti, alcune delle quali, come accade per il ferro, il calcio e la vitamina D sono molto frequenti  prevalentemente nelle calciatrici.

E’ essenziale, altresì, garantire uno stato di corretta idratazione; infatti esiste una correlazione diretta tra riduzione di peso per disidratazione e scadimento della prestazione fisica oltre che un aumento del rischio d’infortunio muscolare.

L’alimentazione occidentale contemporanea è caratterizzata da un rapporto omega6/omega3 fortemente sbilanciato verso i primi con una conseguente maggiore produzione di molecole ad effetto proinfiammatorio. Pertanto ancora di più  risulta necessario negli atleti riequilibrare  questo rapporto rivedendo le abitudini alimentari ed evitando di abusare di alimenti ricchi di omega 6 e favorendo una maggiore introduzione di omega 3 sia attraverso la dieta sia attraverso la supplementazione.

Una integrazione con antiossidanti atti a ridurre gli effetti del <<muscle damage>> indotto dall’allenamento è da consigliare solo in soggetti con una provata deficienza di un micronutriente, in soggetti in restrizione calorica per un considerevole intervallo temporale, in soggetti che per gusto o convinzione hanno limitato o del tutto escluso alimenti fornitori di molecole con effetto antiossidante. Negli altri casi è preferibile agire andando a rivedere le abitudini alimentari con un consumo di dosi adeguate di frutta e verdura.

La dieta dello sportivo intollerante al lattosio

DOTTORESSA CRISTIANA LO NIGRO

Una corretta alimentazione influisce in modo significativo sullo stato psico-fisico dell’individuo e sulla performance nella pratica sportiva.  

Se ci si accorge, però, che nonostante si segua una dieta corretta e calibrata il rendimento è al di sotto delle aspettative e si fatica a recuperare l’energia, è opportuno chiedersi se la causa non sia da ricercare in una possibile intolleranza alimentare. Eventuali alimenti mal tollerati dall’organismo a lungo andare, possono creare, infatti, stati infiammatori generalizzati e disturbi di vario genere, come disturbi gastrici, diarrea, stipsi, asma, problemi vascolari, vomito, cefalea, astenia e attacchi di panico.

Una delle intolleranze difficile da individuare è quella al lattosio, diffusa più di quanto si pensi, in quanto le sue manifestazioni non sono immediate e vengono attribuite spesso a problemi di natura gastrointestinale.

L’intolleranza al lattosio è l’incapacità di digerire lo zucchero del latte, dovuta ad una carenza dell’enzima deputato alla sua idrolisi, la lattasi, che scompone il lattosio nei due composti più semplici, glucosio e galattosio.

I sintomi più comuni legati all’intolleranza al lattosio sono meteorismo, gonfiore, dolori addominali, diarrea, nausea, insonnia, ma soprattutto stanchezza, difficoltà a concentrarsi e nervosismo, sicuri nemici di chi cerca di migliorare le proprie performance sportive.
I sintomi compaiono tra i 30 minuti e le 2 ore successive al pasto.

Esistono vari metodi per scoprire l’intolleranza al lattosio, tra cui il test genetico, un test non invasivo e di semplice esecuzione che prevede l’analisi del DNA prelevato tramite tampone buccale e che si può richiedere in qualsiasi studio medico specializzato in nutrizione.

Il concetto di medicina «personalizzata» va esteso anche all’area della nutrizione dedicata agli sportivi, con lo scopo di migliorare la performance attraverso l’adozione di un corretto stile alimentare. La variabilità genetica individuale determina, infatti, il modo in cui i nutrienti vengono metabolizzati, accumulati e infine escreti, per cui partendo dalle differenze genetiche individuali, è possibile individuare una «nutrizione personalizzata». che prenda in considerazione la tipologia di sport praticato, la frequenza degli allenamenti e le intolleranze.

Chi pratica sport sia a livello amatoriale sia, a maggior ragione, agonistico sa quanto il latte sia un alimento prezioso che permette un rapido recupero delle riserve energetiche, perché svolge una funzione reidratante e contiene nutrienti che hanno un ruolo fondamentale nel metabolismo muscolare e nella sintesi delle proteine.

È possibile, tuttavia, continuare ad assumere latte e latticini ed evitare la comparsa dei disturbi che possono interferire con la resa sportiva. Come? Sia assumendo integratori di lattasi che contengono l’enzima mancante che, assunti poco prima dell’alimento contenente lattosio, permettono di digerirlo, sia ricorrendo al latte privo di lattosio, sia sostituendo il latte vaccino con bevande a base di soia ma anche di riso, mandorle, avena, cocco, anche se dal punto di vista nutrizionale non sono esattamente equivalenti.

                                                                                           Cristiana Lo Nigro

NOVITA’ DAL MONDO DELLA CARNE COLTIVATA

redazione

Non è passato molto tempo da quando l’idea che la carne nei nostri piatti provenisse da vasti bioreattori in acciaio inossidabile, piuttosto che da animali d’allevamento, sembrava fantascienza. L’idea ha subito numerosi rebranding sin dalla sua prima definizione che ha innescato visioni sgradevoli di spam high-tech.

La “carne da laboratorio” è arrivata dopo, poiché gli scienziati hanno perfezionato la ricetta in piccoli bicchieri nei laboratori. Poi è arrivata la “carne coltivata” dal suono più appetitoso, poiché gli investimenti da parte di individui di alto profilo sono aumentati vertiginosamente e i produttori hanno posizionato questi prodotti come se fossero stati preparati, proprio come la birra.

In qualunque modo si scelga di chiamarla, con il futuro della sicurezza alimentare globale in questione e la carne di allevamento una delle principali colpevoli del crollo climatico, la carne senza macellazione sta iniziando ad assomigliare sempre di più al futuro del cibo.

Piuttosto che far parte di un animale che vive, respira, mangia e beve, la carne coltivata viene prodotta in provetta o in un bioreattore di acciaio inossidabile. Il processo è preso in prestito dalla ricerca sulla medicina rigenerativa, e infatti il ​​Prof. Mark Post dell’Università di Maastricht, che ha coltivato il primo hamburger al mondo nel 2013, stava precedentemente lavorando alla riparazione del tessuto cardiaco umano.

Le cellule vengono acquisite da un animale mediante biopsia innocua, quindi poste in un recipiente caldo e sterile con una soluzione chiamata mezzo di crescita, contenente sostanze nutritive tra cui sali, proteine ​​e carboidrati. Ogni 24 ore circa, le cellule saranno raddoppiate.

L’agricoltura cellulare non coltiva tagli di carne, con ossa e pelle, o grasso come in una succulenta bistecca. Le cellule muscolari richiedono condizioni e nutrienti diversi rispetto alle cellule adipose, quindi devono essere prodotte separatamente. Quando la carne o il grasso puro vengono raccolti, è una pasta informe di cellule. Questo è il motivo per cui i primi prodotti a base di carne coltivata serviti sono stati bocconcini di pollo o hamburger.

Poiché sono prodotti in un ambiente sterile, c’è meno rischio di contaminazione da malattie e sostanze chimiche. Ciò è in contrasto con l’agricoltura convenzionale in cui hai un animale vivo macellato sul pavimento. Se guardi alla salmonella, E. coli, contaminazione fecale che fa parte dell’agricoltura animale, sembra molto meglio dal punto di vista della carne coltivata che dal punto di vista della carne convenzionale.

La verità è che non possiamo saperlo finché non avviene la produzione di massa. La modellazione dei potenziali impatti di un’industria biotecnologica in rapida evoluzione che è ancora in fase di sviluppo è soggetta a molti se e ma. Uno studio del 2019 dell’Università di Oxford ha avvertito che l’energia utilizzata per produrre carne coltivata potrebbe rilasciare più gas serra rispetto all’agricoltura tradizionale e quindi ?

Pelle Sinke, ricercatrice presso la società di consulenza sulla sostenibilità con sede nei Paesi Bassi CE Delft, che non era coinvolta nella ricerca, afferma che la parte dello studio che presupponeva l’uso di elettricità generata da un’ampia percentuale di combustibili fossili ha evidenziato l’importanza dell’energia rinnovabile per la produzione di carne coltivata .

“In alcuni scenari, la carne coltivata ha avuto un effetto di riscaldamento globale più elevato e in altri  un effetto inferiore, a seconda dei livelli di consumo, del consumo energetico previsto per la carne coltivata e del sistema di bovini da carne a cui è stata confrontata”.

Sinke aggiunge che lo studio, tuttavia, non tiene conto del minore utilizzo di terra da parte della carne coltivata. “[C’è] la possibilità di utilizzare quella terra per la produzione di proteine ​​vegetali, la natura e la produzione di energia extra rinnovabile, che a sua volta influenza le emissioni di CO2 della carne coltivata”, afferma.

Ora che il siero bovino fetale è fuori mano, i vegetariani potrebbero, eticamente parlando, mangiare questa carne, se ne hanno appetito.

L’elemento religioso è un po’ più complicato. Affinché la carne sia consentita dalle leggi islamiche ed ebraiche, ci sono regole rigide su come gli animali vengono macellati e su come viene preparata la carne. La carne coltivata è destinata a scatenare vivaci dibattiti tra i leader religiosi di tutto il mondo (le interpretazioni delle scritture variano geograficamente), e ha già iniziato a farlo in alcune zone.

Coltivare carne da cellule di carne kosher o halal risolverebbe il problema? In Indonesia, che ha la più grande popolazione musulmana del mondo, l’influente organizzazione musulmana Nahdlatul Ulama ha rilasciato una dichiarazione inserendo la carne coltivata nella “categoria di carcassa che è legalmente impura e il cui consumo è proibito”.

Tra quindi produzione di gas, sicurezza alimentare e motivi religiosi, la diffusione della carne o del futuro pesce o addirittura formaggi o altro prodotti in laboratorio e’ ancora lunga e non sappiamo se le nostre generazioni ne vedranno la diffusione.

Intanto ci accontentiamo degli insetti, altra novita’ alimentare frutto di una politica miope che vede nelle nascite la soluzione di un mondo che sta andando invece a rotoli proprio a motivo della sovrapopolazione e dello sfruttamento delle persone per fini economici

Una revisione sull’utilizzo del Calcio come integratore nelle diete povere di calcio

LE DIETE OGGI MOLTO SPESSO PER ERRATE VALUTAZIONI SUL RUOLO NEGATIVO DEI LATTICINI SONO POVERE DI CALCIO

Diversi studi e revisioni recenti hanno riportato che l’integrazione di calcio da sola o in combinazione con altri ingredienti influisce sulla perdita di peso o sulla perdita di grasso. La ricerca ha indicato che il calcio modula la 1,25-diidrossivitamina D che serve a regolare i livelli intracellulari di calcio nelle cellule adipose. L’aumento della disponibilità alimentare di calcio riduce la 1,25-diidrossivitamina D e promuove la riduzione della massa grassa negli animali. È stato dimostrato che il calcio nella dieta sopprime il metabolismo dei grassi e l’aumento di peso durante i periodi di elevato apporto calorico. Inoltre, è stato dimostrato che l’aumento dell’assunzione di calcio aumenta il metabolismo dei grassi e preserva la termogenesi durante la restrizione calorica. A sostegno di questa teoria, Davies e colleghi  hanno riferito che il calcio nella dieta era correlato negativamente al peso e che l’integrazione di calcio (1.000 mg/giorno) rappresentava una perdita di peso di 8 kg in un periodo di 4 anni. Inoltre, Zemel e colleghi hanno riferito che il calcio supplementare (800 mg/die) o un’elevata assunzione dietetica di calcio (1.200 – 1.300 mg/die) durante un programma di perdita di peso di 24 settimane hanno favorito una perdita di peso significativamente maggiore (26-70%) e l’assorbimetro a raggi X a doppia energia (DEXA) ha determinato la perdita di massa grassa (38-64%) rispetto ai soggetti con una dieta a basso contenuto di calcio (400-500 mg/giorno). Questi risultati e altri suggeriscono una forte relazione tra l’assunzione di calcio e la perdita di grasso. Tuttavia, è necessario condurre ulteriori ricerche prima di poter trarre conclusioni definitive

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CON IL SUPERBOWL ALLE SPALLE

COME SI NUTRONO I GIOCATORI DEL FOOTBALL SECONDO DR. BONCI nutrizionista NFL

“Alcuni dei ragazzi bevono un bicchiere di latte, proprio come facevano alle elementari… e funziona come fonte di carburante prima della partita”, ha detto Bonci. “Ad alcuni di loro piace essere un po’ più sofisticati o fantasiosi con le loro scelte alimentari, ma alla fine, cosa starà comodamente nello stomaco quando la posta in gioco è alta, questo è davvero quello che stiamo cercando. “

Altri cibi che secondo Bonci sono popolari tra i giocatori della NFL sono lo yogurt, greco o normale, da solo o come semifreddo; frullati tipicamente a base di frutta, eventualmente con l’aggiunta di proteine ​​in polvere; soffritto di verdure; uova; e carboidrati complessi.

 

La farina d’avena è “davvero confortante perché è un alimento confortevole. A loro piace. Anche le zuppe sono ottime, perché liquide e nutritive”, ha detto, aggiungendo che anche il pollo è una fonte proteica popolare.

 

Mike Minnis, coordinatore della nutrizione delle prestazioni e assistente allenatore della forza per i Philadelphia Eagles – la squadra vincitrice del Super Bowl 2018 – ha dichiarato in una e-mail che è fondamentale rimanere coerenti con le scelte alimentari e dei pasti prima di una partita importante.

 

“Non c’è necessariamente alcun cibo ‘magico’ che consigliamo ai giocatori di mangiare prima del Super Bowl. La cosa più importante è la coerenza e cercare di mantenere lo stesso programma alimentare a cui sono abituati, in particolare la settimana che precede la partita “, ha affermato Minnis, membro della Collegiate and Professional Sports Dietitians Association.

 

“Al momento del Super Bowl, i giocatori si sono allenati e hanno giocato per più di 20 settimane e il recupero prima della partita è cruciale. Vogliamo anche assicurarci che gli atleti mantengano il loro peso e si riforniscano adeguatamente durante la settimana che precede la partita, in modo che abbiano il serbatoio pieno quando suonerà il fischio”, ha affermato. “Ancora più importante, non vorremmo che l’atleta mangiasse un cibo che non aveva mai mangiato prima, specialmente il giorno della partita”.

 

Mangia, dormi e allenati come un atleta del futuro

Gli unici cibi che Minnis non consiglierebbe il giorno del Super Bowl sarebbero quelli estremamente ricchi di grassi o fibre, ha detto. “Questi alimenti possono rimanere nell’intestino più a lungo di altri e potrebbero potenzialmente causare alcuni disturbi gastrointestinali avversi se consumati in eccesso”.

Anche la tempistica di un pasto rimane importante; la maggior parte dei giocatori mangerà circa tre ore prima di una partita, ha detto Bonci.

 

“Un pasto può essere tre ore prima, ma ciò non significa che tutti lo mangino”, ha detto Bonci.

 

“Il fattore nervoso è lì, e ci sono molti giocatori che semplicemente non hanno appetito”, ha detto. “In genere, più ti avvicini, minore è la quantità di cibo che vuoi avere. Quindi, se qualcuno vuole fare qualcosa di solo liquido, come un frullato, potresti farlo un’ora prima.

 

Nel complesso, ogni giocatore della NFL ha in genere una dieta personalizzata e la quantità di calorie che consuma ogni giorno può variare.

 

“Penso che ci sia un’idea sbagliata che ogni giocatore della NFL segua una dieta da 6.000 calorie. Questo non è necessariamente vero”, ha detto Minnis.

 

“Una cosa da considerare è che il carico di allenamento e lo stimolo delle pratiche e dell’allenamento generale di solito cambiano con l’avanzare della stagione e, di conseguenza, l’atleta non sta bruciando quasi lo stesso numero di calorie che aveva prima nel campo di allenamento e al all’inizio della stagione”, ha detto. “Inoltre, in tutti i gruppi di posizione, hai un’enorme varietà di pesi e composizioni corporee, e ognuno ha obiettivi diversi rispetto a se stesso e quindi la dieta deve essere estremamente personalizzata legata alle abitudini, allenamenti, stazza fisica e partite

 

ANABOLIZZANTI E PRORMONI NELLO SPORT

attenzione

Il testosterone e l’ormone della crescita sono due ormoni primari nel corpo che servono a promuovere l’aumento della massa muscolare (cioè l’anabolismo) e la forza mentre diminuiscono la disgregazione muscolare (catabolismo) e la massa grassa. Il testosterone promuove anche le caratteristiche del sesso maschile (ad esempio, capelli, voce profonda, ecc.). Gli steroidi anabolizzanti a basso livello sono spesso prescritti dai medici per prevenire la perdita di massa muscolare per le persone con varie malattie. È noto che gli atleti hanno sperimentato grandi dosi di steroidi anabolizzanti nel tentativo di migliorare gli adattamenti all’allenamento, aumentare la massa muscolare e/o promuovere il recupero durante l’allenamento intenso. La ricerca ha generalmente dimostrato che l’uso di steroidi anabolizzanti e ormone della crescita durante l’allenamento può favorire l’aumento della forza e della massa muscolare. Tuttavia, sono stati segnalati numerosi effetti avversi potenzialmente letali dell’abuso di steroidi, tra cui disfunzione epatica e ormonale, iperlipidemia (colesterolo alto), aumento del rischio di malattie cardiovascolari, tumori e cambiamenti comportamentali (ad esempio, rabbia da steroidi). Alcuni degli effetti avversi associati all’uso di questi agenti sono irreversibili, in particolare nelle donne. Per questo motivo, gli steroidi anabolizzanti sono stati vietati dalla maggior parte delle organizzazioni sportive e dovrebbero essere evitati a meno che non siano stati prescritti da un medico per curare una malattia.

I proormoni (androstenedione, 4-androstenediol, 19-nor-4-androstenedione, 19-nor-4-androstenediol, 7-keto DHEA e DHEA, ecc.) sono precursori di origine naturale del testosterone o di altri steroidi anabolizzanti. I pro-ormoni sono diventati popolari tra i body builder perché credono di essere stimolatori naturali degli ormoni anabolici. Di conseguenza, un certo numero di integratori da banco contengono pro-ormoni. Mentre ci sono alcuni dati che indicano che i proormoni aumentano i livelli di testosterone, non c’è praticamente alcuna prova che questi composti influenzino gli adattamenti all’allenamento negli uomini più giovani con livelli ormonali normali. Infatti, la maggior parte degli studi indica che non influenzano il testosterone e che alcuni possono effettivamente aumentare i livelli di estrogeni e ridurre il colesterolo HDL. Di conseguenza, sebbene possano esserci alcune potenziali applicazioni per gli individui più anziani per sostituire i livelli di androgeni in diminuzione, sembra che i pro-ormoni non abbiano alcun valore di allenamento. Poiché i proormoni sono “composti simili agli steroidi”, la maggior parte delle organizzazioni atletiche ne ha vietato l’uso. L’uso di integratori alimentari contenenti pro-ormoni risulterà in un test antidroga positivo per gli steroidi anabolizzanti. Si ritiene che l’uso di integratori contenenti consapevolmente o inconsapevolmente proormoni abbia contribuito a una serie di recenti test antidroga positivi tra gli atleti. Di conseguenza, occorre prestare attenzione per assicurarsi che qualsiasi integratore che un atleta prende in considerazione non contenga precursori di pro-ormoni, in particolare se il loro sport vieta e testa l’uso di tali composti. È degno di nota ricordare che molti pro-ormoni non sono legali per la vendita negli Stati Uniti dall’approvazione dell’Anabolic Steroid Control Act del 2004. L’eccezione distintiva a questo è il DHEA, che è stato oggetto di numerosi studi clinici nelle popolazioni che invecchiano.

Piuttosto che fornire al corpo un precursore del testosterone, una tecnica più recente per migliorare il testosterone endogeno è stata quella di inibire l’attività dell’aromatasi. Due studi hanno studiato gli effetti degli inibitori dell’aromatasi (androst-4-ene-3,6,17-trione) e (hydroxyandrost-4-ene-6,17-dioxo-3-THP ether e 3,17-diketo-androst -1,4,6-triene). In entrambe queste indagini, è stato riportato che i livelli di testosterone libero e diidrotesterone erano significativamente aumentati. La massa muscolare/massa magra non è stata misurata in un’indagine e non sono stati osservati cambiamenti nella massa magra nell’altra indagine.

  1. MaurasNLimaJPatelDRiniAdi SalleEKwokALippeBPharmacokinetics and dose finding of a potent aromatase inhibitor, aromasin (exemestane), in young malesJ Clin Endocrinol Metab20038812595161:CAS:528:DC%2BD3sXhtVSgsrvK14671195https://doi.org/10.1210/jc.2003-031279 [Google Scholar]
  2. RohleDWilbornCTaylorLMulliganCKreiderRWilloughbyDEffects of eight weeks of an alleged aromatase inhibiting nutritional supplement 6-OXO (androst-4-ene-3,6,17-trione) on serum hormone profiles and clinical safety markers in resistance-trained, eugonadal malesJ Int Soc Sports Nutr2007413210007017949492https://doi.org/10.1186/1550-2783-4-13 [Google Scholar]
  3. WilloughbyDSWilbornCTaylorLCampbellWEight weeks of aromatase inhibition using the nutritional supplement Novedex XT: effects in young, eugonadal menInt J Sport Nutr Exerc Metab2007171921081:CAS:528:DC%2BD2sXjsFeksL4%3D17460335 [Google Scholar]

Miostatina e sport

La miostatina o fattore di differenziazione della crescita 8 (GDF-8) è un fattore di crescita trasformante che ha dimostrato di essere un determinante genetico del limite superiore della dimensione e della crescita muscolare.

Ricerche hanno indicato che l’eliminazione e/o l’inibizione dell’espressione genica della miostatina nei topi e nei bovini promuove un marcato aumento della massa muscolare durante la crescita e lo sviluppo iniziali. Il risultato è che questi animali sperimentano quello che è stato definito un fenomeno di “doppio muscolo”, apparentemente permettendo al muscolo di crescere oltre il suo normale limite genetico. Nella ricerca in agricoltura, l’eliminazione e/o l’inibizione della miostatina può servire come un modo efficace per ottimizzare la crescita degli animali portando a una resa del bestiame più grande, più magra e più redditizia. Negli esseri umani, l’inibizione dell’espressione genica della miostatina è stata teorizzata come un modo per prevenire o rallentare l’atrofia muscolare in varie malattie, accelerare il recupero dei muscoli feriti e/o promuovere l’aumento della massa muscolare e della forza negli atleti. Sebbene queste possibilità teoriche possano essere molto promettenti, la ricerca sul ruolo dell’inibizione della miostatina sulla crescita e la riparazione muscolare è nelle primissime fasi, in particolare negli esseri umani. Ci sono alcune prove che i livelli di miostatina sono più alti nel sangue dei pazienti sieropositivi che soffrono di atrofia muscolare e che i livelli di miostatina sono correlati negativamente con la massa muscolare. Ci sono anche prove che l’espressione genica della miostatina può essere fibra specifica e che i livelli di miostatina possono essere influenzati dall’immobilizzazione negli animali. Inoltre, uno studio di Ivey e colleghi ha riportato che le atlete con un allele della miostatina meno comune (un sottotipo genetico che potrebbe essere più resistente alla miostatina) hanno sperimentato maggiori guadagni di massa muscolare durante l’allenamento e una minore perdita di massa muscolare durante la pausa. Questi primi studi suggeriscono che la miostatina può svolgere un ruolo nella regolazione della crescita muscolare. Alcune aziende di integratori alimentari hanno commercializzato sulfo-polisaccaridi (derivati ​​da un’alga marina chiamata Cytoseira canariensis) come un modo per legare parzialmente la proteina miostatina nel siero. Quando i maschi non allenati sono stati integrati con 1200 mg/giorno di Cystoseira canariensis in combinazione con un regime di allenamento di resistenza di dodici settimane, è stato riportato che non vi erano differenze tra il gruppo integrato e il gruppo placebo in relazione a massa magra, forza muscolare, coscia volume/massa e miostatina sierica . Mentre un articolo di Seremi e colleghi ha riferito che l’allenamento di resistenza ha ridotto i livelli sierici di miostatina e che l’integrazione di creatina insieme all’allenamento di resistenza ha promosso ulteriori riduzioni. Tuttavia, sebbene la ricerca sia limitata, al momento non ci sono dati pubblicati a supporto dell’uso di solfopolisaccaridi come integratore per la costruzione muscolare. Mentre allenamento e creatina potrebbero aiutare.

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VALUTAZIONE ZMA NELLO SPORT

Gli ingredienti principali nelle formulazioni ZMA sono l’aspartato monometionina di zinco, l’aspartato di magnesio e la vitamina B-6. La logica dell’integrazione di ZMA si basa su studi che suggeriscono che la carenza di zinco e magnesio può ridurre la produzione di testosterone e fattore di crescita simile all’insulina (IGF-1). L’integrazione di ZMA è stata teorizzata per aumentare il testosterone e l’IGF-1 portando a un maggiore recupero, anabolismo e forza durante l’allenamento. A sostegno di questa teoria, Brilla e Conte [1] hanno riferito che una formulazione di zinco-magnesio ha aumentato il testosterone e l’IGF-1 (due ormoni anabolici) portando a maggiori guadagni di forza nei giocatori di calcio che partecipano all’allenamento primaverile. In un altro studio condotto da Wilborn et al. [2], i maschi addestrati alla resistenza hanno ingerito un integratore di ZMA e non hanno riscontrato tali aumenti né nel testosterone totale né in quello libero. Inoltre, questa indagine ha anche valutato i cambiamenti nella massa magra e non sono state osservate differenze significative in relazione alla massa magra nei soggetti che assumevano ZMA. Le discrepanze riguardanti i due studi summenzionati possono essere spiegate da carenze di questi minerali. A causa del ruolo che la carenza di zinco gioca rispetto al metabolismo degli androgeni e all’interazione con i recettori degli steroidi [3], quando ci sono carenze di questo minerale, la produzione di testosterone può risentirne. Nello studio che mostra aumenti dei livelli di testosterone , ci sono stati impoverimenti di zinco e magnesio nel gruppo placebo per tutta la durata dello studio. Quindi, gli aumenti dei livelli di testosterone potrebbero essere stati attribuiti a uno stato nutrizionale alterato piuttosto che a un effetto farmacologico. Sono necessarie ulteriori ricerche per valutare ulteriormente il ruolo della ZMA sulla composizione corporea e sulla forza durante l’allenamento prima di poter trarre conclusioni definitive. Ma sicuramente come tutti gli integratori funziona se ci sono state delle carenze indotte prima o e’ necessario integrare altrimenti gli effetti non sono cosi marcati. Un po come assumere proteine in polvere quando se ne mangia gia un surplus, praticamente non serve a nulla

Bibliografia

  1. BrillaLConteVEffects of a novel zinc-magnesium formulation on hormones and strengthJ Exerc Physiol Online200032636 [Google Scholar]
  2. WilbornCDKerksickCMCampbellBITaylorLWMarcelloBMRasmussenCJGreenwoodMCAlmadaAKreiderRBEffects of Zinc Magnesium Aspartate (ZMA) Supplementation on Training Adaptations and Markers of Anabolism and CatabolismJ Int Soc Sports Nutr2004121220212916118500945https://doi.org/10.1186/1550-2783-1-2-12 [Google Scholar]